Gestione Affitti

Il giudice non può sindacare i motivi per i quali il proprietario non rinnova il contratto di locazione

Non può interferire sull'utilità o sulla convenienza della destinazione proposta dal locatore

di Edoardo Valentino

La vicenda decisa dalla sentenza Cassazione sezione III, numero 9851 del 28 marzo 2022 inerisce alla conclusione di un rapporto di locazione.Nello specifico il locatore aveva intimato al conduttore il rilascio dei locali per finita locazione, essendo il contratto terminato ed avendo lo stesso notificato mesi addietro comunicazione atta ad impedire il rinnovo tacito del rapporto. Lo sfratto per finita locazione, poi, veniva giustificato dal proprietario con la necessità di fornire al figlio un immobile per vivere.

Si costituiva nel giudizio la parte conduttrice, contestando il diritto della locataria di procedere con lo sfratto per finita locazione per due ordini di motivi.In primo luogo la conduttrice contestava la legittimazione attiva dell'attore.Questi, che a detta della parte non sarebbe stato proprietario dell'immobile, non aveva neanche sottoscritto il contratto di locazione, lasciando l'incombente alla moglie.Quanto al secondo motivo, a parere della conduttrice non sarebbe stata valida la motivazione addotta per il mancato rinnovo del contratto – ossia la necessità di lasciare l'immobile al figlio – dato che questi sarebbe risultato già proprietario di un altro immobile in città.

Le pronunce di merito e il ricorso alla Suprema corte
I giudizi di merito, tanto di primo quanto di secondo grado, vedevano l'accoglimento della domanda della parte locatrice.Il locatario, quindi, agiva in Cassazione, contestando la decisione d'appello nella parte in cui non aveva valutato le osservazioni sopra menzionate in merito alla legittimazione attiva del locatore e alla presunta invalidità della motivazione del mancato rinnovo.Con la sentenza Cassazione sezione III, numero 9851 del 28 marzo 2022 la Corte rigettava integralmente il ricorso, ribadendo alcuni interessanti principi in materia di diritto locatizio.

Le motivazioni della sentenza
Quanto alla asserita carenza di legittimazione attiva del locatore, gli ermellini specificavano che il contratto era intestato alla persona che aveva poi agito per lo sfratto.La firma era effettivamente stata posta dalla moglie, ma questa doveva essere considerata come una procuratrice del marito.La procura, assente al momento della firma, sarebbe stata poi convalidata in seguito, anche fattualmente, dato che il marito aveva sempre incassato il canone di locazione mensile ed aveva agito giudizialmente per lo sfratto, avallando l'operato della moglie.

Sottolineava, poi, la Cassazione, come il marito fosse l'unico proprietario dell'immobile e che, conseguentemente, questi fosse anche l'unico legittimato attivo ad agire per lo sfratto, definitivamente rigettando le argomentazioni del ricorrente.Quanto alla motivazione valida a sostenere il mancato rinnovo tacito del rapporto locatizio, anche questa censura era priva di pregio.

Secondo la Corte, infatti, il diniego di rinnovo (disciplinato dall'articolo 3, lettera a) della legge 9 dicembre 1998, numero 431) presuppone l'intenzione e non anche la necessità, di non rinnovare il rapporto e, conseguentemente, l'intenzione di non rinnovare non può essere sindacata nel merito dalla parte conduttrice «non potendo il giudice interferire sull'utilità o sulla convenienza della divisata destinazione per il locatore» (così in Cassazione 21 gennaio 2010, numero 977).Alla luce di tali valutazioni, quindi, la Corte rigettava il ricorso e condannava la parte conduttrice al versamento del contributo unificato in misura maggiorata ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del Dpr numero 115 del 2002.

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