Gestione Affitti

Affitti commerciali e pandemia: l'impossibilità della prestazione da temporanea diventa parziale

Il titolare di una palestra rimasta chiusa ha diritto ad una diminuzione del canone e dopo l’accordo transattivo non scatta la risoluzione del contratto

di Selene Pascasi

Durante l'emergenza pandemica, non potendo il locatore garantire la destinazione d'uso del bene locato qualora sia impossibile svolgervi l'attività esercitata usualmente per via del blocco imposto dalla normativa tesa ad arginare la diffusione del contagio da Covid-19, l'impossibilità della prestazione da temporanea diventa parziale. Il contraente, pertanto, avrà diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione cui è tenuto ossia ad una diminuzione del canone. A scriverlo è il Tribunale di Palermo con sentenza 1698 del 7 maggio 2021.

La vicenda
Intimata di sfratto per morosità è una Società sportiva dilettantistica accusata di non aver pagato canoni locativi per 12 mila euro, cui andavano aggiunti gli importi dei consumi idrici ed altre somme. La società si oppone e viene avviata la conciliazione conclusasi con verbale sottoscritto dalle parti in virtù del quale la locatrice rinunciava al giudizio civile di sfratto a patto che la conduttrice versasse i canoni maturati sino alla data del primo incontro di mediazione. Rinviati gli incontri per poter verificare l'osservanza degli adempimenti e rinnovate le condizioni, parte locatrice dichiarava di rinunciare sia al giudizio – a condizione che la conduttrice ripianasse il debito residuo e pagasse le rate con regolarità – e sia all'aumento del canone.

Tuttavia, successivamente, la sua difesa lamentava che, nonostante la conciliazione, la conduttrice s'era resa morosa nel pagamento dei canoni maturati. L'inquilina, invece, chiedeva estinguersi il giudizio per avvenuta transazione affidando le sorti della somma residua ad una nuova trattativa. Tanto considerato, il Tribunale dichiara estinto il giudizio.

Il ragionamento del Tribunale
Fondamentale al fine della decisione, rileva, è l'esame della ragione giuridica della domanda di convalida di sfratto spiegata dalla locatrice. Ella, nota, nell'intimare lo sfratto per morosità alla Srl conduttrice per i debiti dedotti domandava nel contempo una dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento della società quale autrice di una sublocazione non autorizzata. Ebbene, marca il giudice, prima di analizzare il merito della lite, andava posta l'attenzione sulla circostanza che la transazione pattuita fra le parti in sede di primo incontro di mediazione conciliativa prevedeva il pagamento in tre rate della complessiva somma di euro 19.500. Importo superiore a quello intimato.

Era palese, allora, che la somma oggetto di transazione avesse novato del tutto l'oggetto della domanda di sfratto poiché ai canoni ed agli importi dipendenti dalle obbligazioni contrattuali scadute erano stati aggiunti i canoni maturati sino all'incontro di mediazione. E l'eventuale inadempimento nel pagamento da parte della conduttrice non poteva influire sulla domanda di risoluzione a seguito di una compiuta e sottoscritta transazione. È noto, del resto, che il giudice della causa di sfratto per morosità deve limitarsi a verificare se il conduttore convenuto per la convalida abbia persistito nello stato di morosità reiterata sino alla data dell'udienza.

La morosità in tempi di pandemia
L'accordo adottato in sede di mediazione conciliativa, invece, modifica il prosieguo del giudizio nella fase speciale diretta soltanto ad appurare che l'accordo sia esistente o che il contenuto della proposta transattiva corrisponda integralmente al provvedimento conclusivo (causa, in tal caso, da ritenersi estinta per avvenuta transazione). E allora, insistere nelle pretese originarie dinanzi al giudice della fase speciale diventa un comportamento illegittimo. Ad ogni modo, precisa il Tribunale, non può dichiararsi la risoluzione del contratto di locazione commerciale per il dedotto inadempimento del conduttore imprenditore che abbia maturato una morosità nel periodo in cui si è verificata l'emergenza pandemica.

Non a caso, l'elaborazione dottrinaria ha rilevato l'impossibilità di assolvimento dell'obbligazione di mantenimento della destinazione d'uso del bene, liberando il locatore debitore di quella prestazione. Nella vicenda, peraltro, si tratterebbe d'impossibilità temporanea posto che – non potendo durante l'emergenza il locatore garantire la destinazione d'uso del bene (nella specie una palestra) – l'impossibilità della prestazione da temporanea era diventata parziale. E allora, il contraente aveva diritto ad una corrispondente riduzione della sua prestazione ossia ad una riduzione del canone. Egli, in sostanza, avrebbe potuto invitare il locatore a pattuire la misura della riduzione chiedendo l'intervento del giudice a fronte del mancato accordo. Ma è chiaro che una tale prospettiva si sarebbe potuta ravvisare solo ove la morosità maturata fosse riferibile al periodo di sospensione legale delle attività commerciali disposta dal legislatore e non qualora attenesse a periodi precedenti.

Il riequilibrio delle condizioni contrattuali
A conferma, il Tribunale di Roma (pronuncia 3114/2021) esclude che nell'ordinamento esistano norme e principi che offrano al giudice il potere di riequilibrio dei sinallagmi contrattuali alterati da fatti sopravvenuti ed imprevedibili come la pandemia. È illegittima, pertanto, la pretesa del locatore di chiedere una declaratoria di risoluzione del contratto di locazione con la società gestore della palestra. Ed assenti norme che consentano al giudice di riequilibrare le condizioni contrattuali, egli non potrebbe che prender atto della rimodulazione delle condizioni in mediazione e rigettare ogni altra domanda. Questo, il supporto logico in base al quale il Tribunale di Palermo dichiara estinto il giudizio per avvenuta transazione fra le parti in sede di procedimento di mediazione conciliativa e rigetta la domanda di risoluzione della locazione.

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