Gestione Affitti

Clausola penale nella locazione, un altro stop al Fisco

Non costituisce un negozio giuridico autonomo e non rappresenta un indice di capacità contributiva e non ha natura di condizione sospensiva

di Marco Ligrani

La clausola penale inserita in un contratto di locazione non costituisce un negozio giuridico autonomo, non rappresenta un indice di capacità contributiva e non ha natura di condizione sospensiva; per tutte queste ragioni, la seconda sezione della Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza 2231/2/2020 (presidente e relatore Pilello), ha annullato una serie di avvisi di rettifica e liquidazione in materia di registro, con i quali le Entrate avevano tassato le penali poste in alcuni contratti.

La vicenda

Questione non nuova nel panorama della giurisprudenza di merito, la vicenda verte sull’applicazione dell’articolo 21 del testo unico in materia di registro; a detta delle Entrate, il primo comma sull’autonomia delle clausole contrattuali giustificherebbe il prelievo, contestato dalla ricorrente (una Spa) in ragione, invece, del secondo comma sulla unitarietà dell’atto. La vicenda scaturisce, come anticipato, dall’impugnazione di alcuni atti di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro in misura fissa, che una società riteneva non dovuta sulla base di una serie di motivi:

- la differenza, sostanziale prima ancora che formale, tra il concetto di disposizione, contenuto nell’articolo 21 del tur e quello di clausola contrattuale;

- l’erronea qualificazione della clausola penale, quale indice di capacità contributiva;

- la natura meramente accessoria - ai sensi dell’articolo 1282 del Codice civile - della clausola penale, che, per questo, non vive di vita propria;

- l’impossibilità di ricorrere, in materia tributaria, all’interpretazione analogica e, con essa, all’estensione dell’articolo 27 del tur in materia di atti soggetti a condizione sospensiva;

- infine, l’inapplicabilità delle sanzioni in ragione delle obiettive condizioni di incertezza normativa.

A fronte di tali eccezioni, l’agenzia delle Entrate si era difesa, pertanto, sostenendo che la clausola penale andava ad aggiungersi al contratto ed era idonea a produrre ulteriori effetti giuridici costituenti espressione di capacità contributiva, in quanto tali imponibili.

La Commissione milanese ha, di fatto, accolto ciascuno dei motivi di ricorso sollevati dalla società. In particolare, la commissione ha evidenziato come la clausola penale non possa esistere autonomamente rispetto all’obbligazione principale contenuta nel contratto, secondo il principio «simul stabunt, simul cadent». Inoltre, la Commissione ha negato fermamente la natura di indice di capacità contributiva che le Entrate avevano attribuito alla clausola penale, che, a tutto concedere, si sarebbe concretizzata solo al momento in cui si fosse registrata l’inadempienza.

Per queste ragioni, i giudici hanno condiviso in toto l’impianto difensivo del ricorso, concludendo per l’applicabilità della regola contenuta nell’articolo 20 del Tur, anche alla luce della sentenza n. 158/2010 della Consulta, che ne ha rafforzato la natura di imposta d’atto; nonché dell’orientamento già manifestato dalla stessa commissione, in base alla quale l’imposta di registro è andata perdendo la funzione di corrispettivo per il servizio di registrazione, venendo ad assumere i connotati di tributo commisurato alla capacità contributiva che emerge dall’atto.

I precedenti

Tra i precedenti, non mancano sentenze che danno ragione al Fisco (Ctp Pavia 66/1/2018, Ctp Milano 618/1/2019 e Ctr Lombardia 2311/21/2019). Ma c'è un robusto filone a favore dei contribuenti, che pare connotato da pronunce più recenti (Ctp Varese 279/3/2020, Ctp Pavia 224/3/2018, Ctp Varese 48/2/2019, Ctp Milano 894/10 e 2769/3 del 2019; Ctr Lombardia 4690/7/2019, successiva a alla 2311 dello stesso anno).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©