Gestione Affitti

Affitti concordati: il canone non può eccedere i criteri stabiliti dagli accordi territoriali

Altrimenti il proprietario è tenuto a restituire al conduttore la somma in eccedenza

di Edoardo Valentino

In un contratto di locazione a canone concertato, se il canone convenuto dalle parti è superiore a quello determinato secondo i criteri stabiliti dagli accordi territoriali in vigore al momento della stipula, allora la proprietà può essere condannata a restituire l'importo versato in eccedenza alla locataria. Questo il principio sottolineato dalla sentenza della Cassazione sezione VI, 31 agosto 2020, numero 18114.

La vicenda
Il giudizio di merito iniziava con il deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo con il quale il proprietario ingiungeva al conduttore il pagamento di una somma dovuta per canoni di affitto arretrati. Il locatario, tuttavia, contestava tale ricostruzione e faceva opposizione al decreto ingiuntivo. Il giudizio di opposizione terminava con l'accoglimento della domanda del conduttore, in quanto il giudice riconosceva che, essendo stato il contratto stipulato con le forme concertata di cui all'articolo 2 commi III e IV della legge 431 del 1998, allora il canone avrebbe dovuto essere inferiore a quello effettivamente corrisposto dal conduttore.

Con la sentenza, quindi, non solo il giudice non riteneva dovute le somme richieste dal proprietario, ma anzi condannava lo stesso a restituire al locatario una somma risultante dalle eccedenze corrisposte nel tempo a titolo di canone di locazione.Il proprietario, quindi, agiva in sede di appello contestando la ricostruzione.Il giudice del riesame, però, confermava integralmente la precedente sentenza.

Il ricorso alla Suprema corte
Al proprietario, vista la duplice soccombenza, non restava che rivolgersi in Cassazione depositando un ricorso incentrato su un unico motivo: a suo avviso la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che le parti avessero convenuto un canone di locazione superiore a quello effettivamente dovuto sulla base della libera volontà negoziale delle parti, e per aver deciso in forza di una c onsulenza tecnica d'ufficio errata, omettendo peraltro di confermare il dovuto pagamento alla proprietaria degli oneri condominiali asseritamente dovuti dal conduttore.

I motivi della decisione
Con la sentenza in commento la Suprema corte rigettava il ricorso dichiarandolo inammissibile. Secondo la Cassazione, infatti, il ricorso del proprietario si concretizzava nella richiesta di un riesame nel merito sulla valutazione degli elementi probatori operata dalla Corte d'appello.Tale valutazione di merito era inammissibile in sede di Cassazione, e conseguentemente il ricorso andava incontro alla dichiarazione di inammissibilità. A parere della Cassazione, in ogni caso, era stato corretto il ragionamento della Corte d'appello in ragione del quale il contratto di locazione doveva essere letto conformemente alla volontà delle parti di assoggettarsi al regime del canone concordato ai sensi della legge 431 del 1998.

In conseguenza di tale asserzione, quindi, l'eventuale somma stabilita a titolo di canone in eccedenza a quanto previsto dalle associazioni di settore (così come stabilito dall'articolo 2 commi III e IV della legge sopra menzionata) doveva essere considerato come non dovuto, e il proprietario che l'avesse indebitamente percepito doveva essere condannato alla restituzione.

La previsione normativa
La norma in oggetto prevede, infatti, ai citati commi che «In alternativa a quanto previsto dal comma 1, le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto, anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, nel rispetto comunque di quanto previsto dal comma 5 del presente articolo, ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative, che provvedono alla definizione di contratti-tipo. Al fine di promuovere i predetti accordi, i comuni, anche in forma associata, provvedono a convocare le predette organizzazioni entro sessanta giorni dalla emanazione del decreto di cui al comma 2 dell'articolo 4. I medesimi accordi sono depositati, a cura delle organizzazioni firmatarie, presso ogni comune dell'area territoriale interessata.

Per favorire la realizzazione degli accordi di cui al comma 3, i comuni possono deliberare, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio, aliquote dell'imposta comunale sugli immobili (Ici) più favorevoli per i proprietari che concedono in locazione a titolo di abitazione principale immobili alle condizioni definite dagli accordi stessi. I comuni che adottano tali delibere possono derogare al limite minimo stabilito, ai fini della determinazione delle aliquote, dalla normativa vigente al momento in cui le delibere stesse sono assunte. I comuni di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988, numero 551, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, numero 61, e successive modificazioni, per la stessa finalità di cui al primo periodo possono derogare al limite massimo stabilito dalla normativa vigente in misura non superiore al 2 per mille, limitatamente agli immobili non locati per i quali non risultino essere stati registrati contratti di locazione da almeno due anni».

La scelta se optare per questo schema contrattuale spetta quindi alle parti, ma una volta fatta deve essere seguita, senza possibilità di deroga dal punto di vista della determinazione del canone.Per evitare limiti, quindi, le parti devono optare per i contratti a canone libero.Non esiste possibilità di deroga a queste regole.

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