Gestione Affitti

La morosità nelle locazioni commerciali in tempi di coronavirus

Il conduttore riceve aiuti dalla Stato ed è tenuto comunque al pagamento del canone

di Matteo Rezzonico e Maria Chiara Voci

L'inquilino di un immobile adibito ad attività commerciale, che sia impossibilitato a svolgere il proprio lavoro per i provvedimenti restrittivi in atto, statali o regionali, non può sospendere il pagamento degli affitti (o autoridursi unilateralmente il canone), senza il consenso del locatore.

Non si può risolvere il contratto
Il conduttore non può neanche invocare l'impossibilità sopravvenuta della prestazione come causa di risoluzione del contratto (per l'emergenza Covid 19), considerato che gli articoli 1263 e seguenti del Codice civile non trovano applicazione se l'impossibilità dell'adempimento non sia definitiva. Si intende dire che, tra qualche tempo, la situazione emergenziale dovrebbe essere superata. Lo “stop” di un mese non è di per sè sufficiente a giustificare alcunchè.

No alla risoluzione per onerosità eccessiva
Per gli stessi motivi sembra doversi escludere la risoluzione per eccessiva onerosità della prestazione di cui all'articolo 1467 del Codice civile. In caso di consistenti riduzioni del fatturato - salvo più favorevoli previsioni contenute nel contratto di locazione - all'inquilino non rimarrebbe che invocare l'articolo 27, penultimo comma, della legge 392/78, relativamente al recesso per gravi motivi.

Il recesso per gravi motivi
Il recesso è cosa diversa dalla risoluzione per inadempimento, per il quale, «indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata», ma in questo ultimo caso, sarebbe tenuto al versamento dell'indennità di preavviso di sei mesi indipendentemente dalla data del rilascio anche se anteriore (Cassazione 13092/2017).

Gli aiuti previsti nel Dl Cura Italia
Tutto ciò non risulta intaccato dall'articolo 65, commi 1 e 2 del Dl 18/ 2020 (cosiddetto Cura Italia), per il quale «per frenare gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19, ai soggetti esercenti attività d'impresa è riconosciuto, per l'anno 2020, un credito d'imposta nella misura del 60 per cento dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1. Il credito d'imposta non si applica alle attività di cui agli allegati 1 e 2 del decreto del Dpcm 11 marzo 2020 (supermercati, ipermercati, discount alimentari) ed è utilizzabile, esclusivamente, in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del Decreto legislativo 9 luglio 1997, numero 241».

Il credito d'imposta – che riguarda i locali con destinazione catastale C/1 cioè negozi e botteghe destinati a ristorazione, bar, ad attività di barbiere – non incide sul diritto del locatore di percepire il pagamento dell'affitto.

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