Gestione Affitti

Occupazioni abusive di case, l’indigenza non è una scusante

Per la Cassazione non conta la situazione di disagioe e, anzi, il non aver presentato la domanda di casa popolare peggiora la situazione

di Saverio Fossati

Stretta sugli occupanti abusivi degli immobili. Per l a II sezione penale della Cassazione (sentenza 3436/2020) non conta la situazione indigenza e, anzi, il non aver presentato la domanda di casa popolare peggiora la situazione.

Si definiscono così con maggiore rigore i confini del comportamento di chi commette il reato previsto dall’articolo 633 del Codice penale (invasione arbitraria di terreno e difici altrui), già oggetto di attenzione a più riprese da parte della Cassazione.

Il fatto concreto

La vicenda riguarda l’occupazione abusiva di una casa popolare di proprietà del Comune di Firenze, per cui una persona era stata condannata alla multa di 500 euro e al risarcimento dei danni dalla Corte d’appello di Firenze. La condannata si era rivolta in Cassazione sostenendo che aveva trasformato l’occupazione in locazione mettendosi a pagare le utenze domestiche e l’indennità di occupazione, e ottenendo anche la residenza (paradossalmente, proprio dallo stesso municipio).

La Cassazione ha dato invece ragione alla Corte d’appello, attestando che la pretesa “regolarizzazione” dimostrava «esclusivamente il perdurare della condotta criminosa» e non aveva alcuna efficacia sanante.

Le attenuanti

Sulla questione della concessione delle attenuanti generiche, poi, la Cassazione è stata ancora più precisa: la sentenza di merito ha infatti ampiamente argomentato al riguardo, evidenziando «l’assenza di profili di meritevolezza a fronte di una condotta caratterizzata da g rave disvalore sociale, tenuto conto della mancata richiesta della prevenuta di accesso alle graduatorie per le case popolari, della disponibilità di altra abitazione nella stessa zone e e della perdurante protrazione della condotta illecita».

Non solo: la Cassazione, citando la sentenza della stessa suprema Corte 28067/2015 , ha rilevato che non è apprezzabile «l’addotto stato di necessità della ricorrente (...) non potendosi legittimare - pur nelle ipotesi di disagio sociale e difficoltà economiche - una surrettizia soluzione delle esigenze abitative quale quella nella specie perseguita».

Niente attenuanti, quindi, perché, in sostanza la condannata:

1) aveva messo in atto una condotta di grave disvalore sociale;

2) l’aveva protratta cercando di consolidarla con ogni mezzo;

3) aveva un’altra casa disponibile nella stessa zona;

4) non aveva presentato domanda per avere la casa popolare, preferendo evidentemente occuparne una con la forza;

4) la situazione di difficoltà economica e di disagio non può giustificare in alcun modo la scorciatoia dell’occupazione arbitraria.

Tutti questi aspetti, chiariti dalla Cassazione, costituiscono ora un vademecum per casi analoghi e un monito a chi pensa di scavalcare le regole per ottenere una casa popolare o comunque destinata ad affitti sociali, ma anche per chi vorrebbe rivolgere le sue attenzioni alle case di proprietà privata, per le quali vale quanto meno al considerazione sul disagio econonomico quale giustificazione.

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