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L’inquilino apre un ristorante, come difendersi dalle proteste per il rumore?

di Raffele Cusmai

La domanda

A un mio conduttore il Comune di Ciampino ha concesso la possibilità di installare, sulla proprietà a piano terra confinante con l'area condominiale, una struttura a “pergola” per esercitare un lavoro di ristorazione. Adesso i rumori provenienti da detto esercizio commerciale infastidiscono i condòmini. Non so se la struttura pergola è stata fatta a norma. Inoltre, sempre il conduttore, sta occupando parte dello spazio condominiale con dei tavoli e sedie. Cosa mi consigliate di fare?

A cura di Smart24 Condominio

Il regolamento di condominio, approvato ai sensi dell'art. 1138 c.c., costituisce l'usuale fonte normativa relativa agli orari in cui è doveroso rispettare la quiete in condominio e, a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 220/2012, i comportamenti costituenti infrazioni al regolamento di condominio possono essere sanzionati direttamente dall'amministratore con il pagamento di una somma fino a € 200,00 e, in caso di recidiva, fino a € 800,00 (art. 70, disp. att. c.c.). Tale somma sarà devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie. Tuttavia, sebbene con tale norma il legislatore ha inteso garantire un comportamento rispettoso nei confronti delle norme contenute nel regolamento di condominio, la possibilità di applicare una sanzione è vincolata solo alla presenza di una esplicita previsione del regolamento e non consente applicazioni in via analogica: in caso contrario, si avrà una lesione dei diritti di godimento del singolo condomino sui beni comuni (cfr. Cass. civ, n. 10329/2008). Ferma restando l'eventuale integrazione, da parte degli autori dei rumori, del reato di cui all'art. 659 c.p.., relativamente al quale, inoltre, la durata del rumore molesto non ha alcuna rilevanza, in quanto il riposo e la tranquillità degli abitanti lo stabilimento possono essere lese anche da un rumore breve e improvviso (Cass. pen. Sez. I, 8 luglio 1987, n. 8252). Altresì, qualora uno dei condomini, senza il consenso degli altri ed in loro pregiudizio, abbia alterato o violato, lo stato di fatto o la destinazione della cosa comune impedendo o restringendo il godimento spettante a ciascun possessore pro indiviso sulla cosa medesima in modo da sottrarla alla sua specifica funzione, sono esperibili da parte degli altri comproprietari le azioni a difesa del compossesso per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato (cfr. Cass. civ. Sez. II, 05/08/2005, n. 16496). Di conseguenza, l'amministratore di un condominio è legittimato, anche in assenza di qualsivoglia autorizzazione dell'assemblea, a proporre l'azione di reintegrazione nel possesso, oltre l'eventuale risarcimento del danno, relativa a parti comuni dell'edificio, azione che, rientrando nel novero degli atti conservativi, non necessita, ex art. 1131, n. 4, c.c., della detta autorizzazione. È bene, infine, ricordare che, ai sensi dell'art. 1168 c.c., l'azione di reintegrazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro un anno decorrente dal sofferto spoglio, ovvero dalla scoperta dello stesso.

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