Gestione Affitti

Affitti brevi e Airbnb in condominio: giudici ancora divisi sui limiti e i regolamenti

di C.D.O. e Mi.Fi.

Cresce la conflittualità tra condomìni e proprietari che operano con le nuove soluzioni locative residenziali: dagli affitti brevi ai contratti per studenti, dalle case vacanza ai bed & breakfast (B&B). Le nuove formule attraggono i proprietari, ma preoccupano i condomìni in quanto foriere di disagi e preoccupazioni per il maggior traffico di estranei all’interno dell’edificio (spesso anche di notte).

Di particolare interesse, tra le tante, la recente sentenza del Tribunale di Roma (14559/2019), che riassume i passaggi principali della complessa materia, a oggi purtroppo decisa in modo non uniforme dai giudici. Una disomogeneità che contribuisce, da sola, ad alimentare il contenzioso.

Ad esempio, il Tribunale di Roma (18494/2018) ha affermato che l’attività di B&B, anche per l’evoluzione del costume sociale, configura un’attività «ontologicamente alberghiera» sovrapponibile a quella di destinazione di unità abitativa a uso «pensioni o camere d’affitto» (termini frequenti nei regolamenti condominiali, spesso datati). Di segno opposto un’altra pronuncia dello stesso Tribunale (14559/2019) che, nel confrontare l’attività di «B&B» a quella di «affittacamere» (una struttura ricettiva prevista dalla normativa turistica laziale come soluzione qualitativamente assimilabile a quella alberghiera, ma più contenuta in termini dimensionali) conclude che le differenze tra le due formule ricettive «impediscano una generale equiparazione tra l'attività di B&B a quella di affittacamere».

Ci sono però alcuni punti fermi.

1. La compressione del diritto di proprietà, per dottrina e giurisprudenza, deve essere espressa nel regolamento in modo inequivoco e conosciuto al proprietario.

2. Tali vincoli possono essere più stringenti se contenuti in un regolamento condominiale contrattuale anziché assembleare: redatto dal costruttore dell’edificio e da questi fatto approvare agli acquirenti degli appartamenti all’atto del rogito, il primo, può contenere vincoli più forti rispetto a quello assembleare, varato a maggioranza.

3. Il tema non si pone per le formule locative che – pur assimilabili, per alcuni aspetti, ad alcune soluzioni ricettive – tali non sono. Perciò, non c’è modo di interpretare un divieto di porre in essere attività ricettive come un divieto alla possibilità di concludere contratti di locazione in una unità immobiliare in cui è consentito il normale uso abitativo. È un tema che a volte si pone perché nella pratica il proprietario (o il property manager cui si è affidato) opera con gli strumenti della hospitality, così andando a confluire, magari inconsapevolmente, nel settore ricettivo ed esponendosi a rischi di contestazione.

Ma vi è di più. Alcune decisioni della Cassazione (da ultimo, 6769/2018) tendono a ricondurre alla categoria delle “servitù atipiche” i vincoli contenuti nei regolamenti condominiali contrattuali. L’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti andrebbe regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, con la trascrizione mediante la specifica indicazione, in una nota distinta da quella dell’atto di acquisto. Non basterebbe, perciò, il generico rinvio al regolamento condominiale. Ma sul punto servirà una giurisprudenza consolidata o un intervento della Suprema corte a Sezioni unite.

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