Gestione Affitti

Affitto, il contratto verbale non dà all’inquilino il diritto di usare la casa

di Matteo Rezzonico

Il fatto di utilizzare un immobile in base ad un accordo orale non determina per l'inquilino alcun il diritto a detenere l'immobile. Infatti, l'accordo orale non è di per sé sufficiente ad integrare un contratto di locazione che necessita in ogni caso della forma scritta ad substantiam (articolo 1, ultimo comma, e articolo 13, comma 1, della Legge 431/98). Ma l'eventuale diritto ai danni da parte del proprietario scatta solo se egli è in grado di provare di averne subìto uno effettivo e concreto.
Lo ha ribadito il Tribunale di Milano, Tredicesima Sezione Civile, con sentenza n. 8180 del 13 settembre scorso . Infatti, come risulta dalle allegazioni di entrambe le parti, a fondamento della consegna dell'immobile nel marzo 2018, vi è solo un accordo verbale, tra l'altro, privo della “promessa” di concludere un successivo contratto scritto. Tanto più che il proprietario necessitava di abitare l'immobile per cui è causa entro la fine del 2018. Tale accordo verbale è nullo, posto che per la valida conclusione del contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo è richiesta la forma scritta. Né può trovare accoglimento la domanda dell'occupante di ricondurre la locazione a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 3 articolo 2 della Legge 431/1998. Ed infatti, a fondamento di tale azione il resistente pone il dettato dell'articolo 13, comma 6, Legge 431/98, (nel testo sostituito dall'articolo 1, comma 59, della Legge 208/2015), senonchè detta norma non è applicabile al caso di specie. Ciò in quanto tale comma prevede che il conduttore possa chiedere che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 2 ovvero dal comma 3 dell'articolo 2 della stessa Legge “nei casi in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto” e non anche quando le parti abbiano raggiunto un mero accordo verbale.
La domanda del resistente va, quindi, rigettata, mentre va accolta - stante l'accertamento della occupazione sine titulo – la domanda di rilascio del ricorrente, (posto che il contratto di locazione verbale è nullo e privo di effetti).
Niente da fare, invece, per il proprietario relativamente alla richiesta di danni derivanti dall'occupazione senza titolo, che va inquadrata nella fattispecie di cui all'articolo 2043 del Codice civile. A questo proposito, il Tribunale di Milano mostra di condividere l'orientamento espresso nella sentenza della Cassazione n. 15757 del 27/07/2015 secondo cui «Il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente “in re ipsa” e coincidente con l'evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 cod. civ., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo peraltro pur sempre avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti».
Il ricorrente aveva l'onere, quindi, di provare il danno patito e non ha assolto a tale onere. In particolare, non ha provato che nel periodo successivo al mese di luglio 2018 egli avrebbe potuto porre in locazione l'immobile: anzi in sede di interrogatorio libero egli ha riferito che aveva l'interesse contrario avendo la necessità di abitare egli stesso l'immobile. Si aggiunga che dai documenti prodotti risulta che sino ad oggi il ricorrente continua ad occupare la casa che avrebbe dovuto lasciare a terzi (a causa di un pignoramento), e che, dunque, non ha sostenuto particolari costi a tale riguardo.
Sulla questione della necessità della prova del danno per il mancato utilizzo di un immobile, non possiamo non dare atto della sussistenza di un contrasto giurisprudenziale. Si segnala, a favore della tesi del Tribunale milanese, Cassazione 20 marzo 2019, numero 7871. Si segnala invece, in senso difforme, Corte di appello di Milano, 22 ottobre 2018, numero 4560. In senso parzialmente difforme, si veda, tra le altre, anche Cassazione 6 settembre 2017, numero 20856, (che fa riferimento alla presunzione di sussistenza di un danno “in senso descrittivo”, senza esonerare il danneggiato dalla prova, anche mediante presunzioni, del fatto da cui deriverebbe il pregiudizio lamentato).

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