Gestione Affitti

Affitto simulato, se lo segnala un estraneo valgono le presunzioni

di Selene Pascasi

Se a lamentarsi della natura simulata di un contratto di locazione è un terzo estraneo all'intesa, il giudice, per decidere, può affidarsi ad elementi presuntivi. Lo precisa il Tribunale di Roma con sentenza n. 14392 del 4 luglio 2019 . È una S.r.l. in liquidazione ad aprire la lite chiamando in causa chi, acquistato il suo compendio immobiliare (villino con corte), l'aveva poi locato ad una signora.
Si trattava, denuncia al tribunale, di un patto simulato. Il tribunale boccia la domanda ma la Corte d'appello, accolta l'impugnazione formulata dalla curatela, dichiara – sulla base di una pluralità di elementi – la natura simulata del contratto di compravendita con conseguente inefficacia del contratto locativo. Simulazione, peraltro, opponibile all'inquilina. L'acquirente, quindi, andava condannata alla restituzione dell'immobile. Ma la conduttrice, a tutela della sua posizione e vista la pendenza del ricorso per cassazione, contesta la supposta simulazione e, soprattutto, l'opponibilità di una simulazione ancora “sotto giudizio”.
Tentativo non centrato: per il tribunale di Roma, la soluzione adottata in appello era altamente condivisibile. La Corte, scrive, aveva correttamente valutato la portata complessiva di plurimi indici della natura simulata del contratto di compravendita intercorso tra la S.r.l. e l'acquirente. E lo stesso doveva dirsi del contratto locatizio concluso a seguire. Il nodo dirimente, spiega, sta tutto nel fatto che laddove l'azione di simulazione sia stata esperita (articolo 1415, secondo comma, del Codice di procedura civile) da un soggetto terzo rispetto al negozio simulato, che affermi di essere stato danneggiato, la prova della simulazione, per espressa previsione dell'articolo 1417 del codice di rito, è ammissibile senza limiti.
Questo vuol dire che il giudice potrà fondare la propria decisione su presunzioni. A suffragarlo è la Corte di cassazione (n. 22801/2014) la quale ha osservato che «in tema di simulazione assoluta del contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l'opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, a consentire illazioni che ne discendano secondo l'id quod plerumque accidit, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico». In altre parole, il giudice potrà avvalersi anche solo di presunzioni che lo convincano – secondo il ragionamento per cui “ciò che accade più spesso è ciò che accade di solito” (traduzione dell'espressione latina id quod plerumque accidit) – della natura simulata di un contratto. Ebbene, nella fattispecie la prova della simulazione assoluta del contratto di vendita stipulato dalla società poteva dirsi raggiunta per via di «plurimi indizi precisi e concordanti, quali: la notevole incongruità del prezzo di vendita; la mancata prova del pagamento del prezzo; la presenza dominante del socio della società acquirente nella gestione della società venditrice fallita; la contiguità temporale della rivendita del bene; l'inusitata dilazione del pagamento del prezzo, senza garanzie e malgrado la trasmissione del possesso; la coeva cessione alla sub acquirente dei locali dell'impresa». Non semplici coincidenze o illazioni, quindi, ma un congruo bagaglio di elementi presuntivi, da cui la Corte aveva tratto la prova della simulazione contrattuale. E se la scelta operata in appello non era discutibile, il tribunale capitolino non poteva che concordare sulla natura simulata dell'operazione con cui l'acquirente aveva ceduto all'inquilina il godimento del compendio in questione.
Dato che, è inteso, riverberava effetti sulla domanda di restituzione di un bene che – per inefficacia della vendita simulata – non era mai fuoriuscito dal patrimonio dell'alienante al quale, pertanto, andava riconsegnato. Più che cristalline, allora, le ragioni sottese alla sentenza del tribunale romano quando consacra la valenza probatoria dell'insieme delle presunzioni raccolte.

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