Gestione Affitti

Affitti commerciali, la Cassazione legittima i canoni «a scaletta»

di Rosario Dolce

La Corte di Cassazione, Sezione III, con la Sentenza n. 23896 del 26 settembre 2016 avalla i cosidetti” canoni a scalare”, cioè le clausole che prevedono un aumento percentuale della “locazione” secondo dati presupposti temporali ed oggettivi, per i contratti di locazione ad uso diverso.
Nella sentenza si sviluppa un iter giurisprudenziale sul valore da ascrivere alle vicende “negoziali” che ne determinano, concretamente, l'esistenza tra le parti contrattuali.
La premessa data, intanto, è quella di non confondere il concetto di aumento del canone di locazione (secondo contratti succedentesi nel tempo, anche per via di rinnovazione) sia con quello della determinazione differenziata del canone (correlativamente a periodi compresi nella durata del medesimo rapporto contrattuale) che con quello, infine, di aggiornamento del canone (in dipendenza della perdita del potere di acquisto della moneta verificatasi durante la pendenza del medesimo rapporto contrattuale, si veda anche la sentenza della Cassazione 22909 del 2016).
Ciò posto, il principio è questo: a fronte della piena e libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta astrattamente legittima l'apposizione di clausola in un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, con cui venga pattuito un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto.
Nel qual caso non occorre necessariamente riferire in contratto, con rilievo condizionante, il collegamento del previsto aumento del tempo del canone a elementi oggettivi e predeterminati, diversi dalla svalutazione monetaria, idonei a incidere sul sinallagma contrattuale.
L'ancoramento a tali elementi costituisce – secondo i giudici di legittimità – una delle possibili modalità attraverso cui può operarsi detta predeterminazione del canone “a scaletta”, in alternativa alla quale questa può altrettanto legittimamente operarsi sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione.
L'assunto finale riportato “suona”, infine, come una sorta di monito ai contraenti, per cui si rammenta, testualmente, che: «La legittimità di tale clausola dev'essere peraltro esclusa là dove risulti – dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola – che le parti (con la clausola del canone a “scaletta”) abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'articolo 32 della legge n. 392 del 1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dall'articolo 1, comma 9 sexies, Decreto legge 7 febbraio 1985, n. 1, convertito con modificazione dalla legge 5 aprile 1985, n. 118), cosi incorrendo nella sanzione di nullità dal successivo articolo 79, primo comma, della stessa legge».

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