Gestione Affitti

I canoni arretrati non si «perdono», nello sfratto è evidente l’intento di recuperarli

di Selene Pascasi

Avviando la domanda di adempimento dei canoni scaduti, il proprietario mantiene in vita il diritto al pagamento del dovuto, rinviando ad altra sede la richiesta di condanna specifica. Lo puntualizza la Corte di cassazione con sentenza n. 18948 del 16 luglio 2019 (relatore Gorgoni).
La questione parte da un decreto ingiuntivo ottenuto dagli eredi della proprietaria di un locale commerciale, relativo al mancato pagamento di alcuni canoni da parte della società che lo aveva preso in locazione. Decreto contro il quale arriva l'opposizione dei soci della S.a.s.: il decreto ingiuntivo non era stato preceduto da altra richiesta di pagamento e, comunque, riguardava mensilità ormai prescritte.
Il tribunale accoglie l'opposizione ma la Corte di appello la rigetta e la lite arriva in cassazione. Secondo gli inquilini, la pronuncia impugnata aveva erroneamente ritenuto l'atto di citazione di sfratto per morosità idoneo ad interrompere la prescrizione del diritto di credito. Andava, invece, considerato che, pur a voler ritenere interrotto il termine di prescrizione, il diritto si era ugualmente prescritto per decorrenza del nuovo termine quinquennale.
Ricorso bocciato. Il nodo da sciogliere, in sintesi, era se l'esercizio del diritto potestativo di risoluzione del contratto locatizio tramite proposizione di azione giudiziale di intimazione di sfratto per morosità avesse prodotto l'effetto interruttivo del termine prescrizionale anche per quanto concerneva il diritto ad ottenere il pagamento dei canoni locativi scaduti e non pagati. Un dubbio strettamente legato all'asserita natura di atto non pretensivo dell'intimazione di sfratto per morosità.
Nella vicenda la questione – scrive la Cassazione – può dirsi risolta in ragione del fatto che spetta al giudice di merito, con un accertamento insindacabile in sede di legittimità, stabilire se la domanda giudiziale avesse o meno prodotto un effetto interruttivo. Ed è orientamento consolidato, al quale non c'è motivo per non aderire, quello per cui «l'interpretazione della domanda giudiziale, al fine di stabilirne l'idoneità a costituire atto interruttivo della prescrizione di un determinato diritto, non involgendo l'accertamento di un vizio in procedendo, costituisce attività riservata al giudice del merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione» (Cassazione 29609/2018). Ebbene, nella fattispecie, la decisione della sentenza contestata si è basata sull'interpretazione dell'intimazione di sfratto per morosità nella parte in cui, dopo aver individuato in termini temporali e quantitativi la morosità stessa, gli intimanti dichiaravano di volersi avvalere – nell'ipotesi in cui la morosità non fosse stata sanata prima dell'udienza – della clausola risolutiva espressa prevista dal contratto, riservandosi poi di agire per il recupero del dovuto.
Di qui, la richiesta del decreto ingiuntivo. Gli eredi della proprietaria, in sostanza, avevano espresso in maniera inequivoca l'intento di ottenere l'adempimento nel termine previsto dimostrando (contrariamente a quanto affermato dalla società inquilina) il persistente interesse ad ottenere la prestazione locatizia, subordinando il rimedio solutorio al cattivo esito della richiesta di adempimento. Essi, quindi, avviando la domanda di adempimento avevano mantenuto in vita il diritto al pagamento dei canoni locatizi semplicemente rinviando ad altra sede la richiesta di condanna specifica. Regola cui si collega l'impossibilità per l'inadempiente di adempiere qualora la controparte abbia chiesto la risoluzione. Peraltro, la deroga a tale regola sulla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento – cosiddetto termine di grazia – non si applica alla locazione di immobili ad uso diverso dall'abitazione. Viene, così, rigettato il ricorso.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©