Gestione Affitti

Anche un solo comproprietario può sciogliere il contratto d’affitto

di Selene Pascasi

In caso di pluralità di locatori, ciascuno di essi gode di pieni poteri gestori presumendosi, in difetto di prova contraria, il consenso degli altri locatori. Per questa ragione, ciascuno può agire per il rilascio dell'immobile senza che sia necessario integrare il contraddittorio.
A sancirlo è la Corte di cassazione, con sentenza n. 17933 del 4 luglio 2019 (relatore DaniloSestini). Protagoniste, mamma e figlia che – concesso in locazione un immobile con circostante terreno alberato – reclamano il mancato pagamento di alcuni canoni e gli intimano lo sfratto per morosità. Domanda accolta dal tribunale che dichiara la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell'inquilino e ordina il rilascio dei beni.
La causa, però, dopo un “passaggio” in appello e una rimessione al primo grado per vizio di integrità del contraddittorio vista la mancata partecipazione degli eredi di una delle due parti concedenti, viene sottoposta al vaglio della cassazione.
Il ricorso, promosso dalla madre della ragazza, è formulato sulla base di un unico motivo. Il comproprietario, rileva la signora confortata da costante giurisprudenza, può certamente agire per ottenere il rilascio dell'immobile per finita locazione, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune per il quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione.
Non c'è alcuna necessità, quindi – come ribadito da Cassazione 12386/2016 – di coinvolgere nella causa anche gli altri partecipanti integrandone il contraddittorio. Lamentela fondata e accolta. L'eventuale pluralità di locatori, scrivono i giudici di legittimità, integra una parte unica al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i paranetri che presiedono alla disciplina della comunione. Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, dunque, salvo prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari.
Ciò, perché si presume che ogni parte operi col consenso degli altri o quantomeno acquisito il sostegno della maggioranza dei partecipanti. Di conseguenza, il singolo condomino – così come può stipulare un contratto di locazione su un bene comune – può agire per il suo rilascio, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione per il quale deve presumersi sussistente il consenso anche dei comunisti che non abbiano partecipato al processo. Era errata, quindi, la sentenza impugnata nella parte in cui sosteneva che la pronuncia di risoluzione chiesta da uno soltanto dei locatori aveva provocato lo scioglimento del rapporto solo «per una delle parti» lasciandolo inalterato nei confronti dell'altra.
Soluzione ferma, nonostante il noto criterio – enunciato da Cassazione 2925/1986 – che esige la partecipazione di tutte le parti di un contratto al giudizio teso alla sua risoluzione laddove la sentenza costitutiva sarebbe superflua se non pronunciata nei confronti di tutti gli interessati.
Canone che, pur generalmente valido, non poteva avere alcun valore nella vicenda viste le peculiarità del rapporto: contratto locativo con pluralità di locatori. Ipotesi in cui, fino a prova contraria, si presume che il singolo locatore nella pienezza dei propri poteri gestori, agisca munito del consenso degli altri. Si spiega in questi termini, la decisione della Corte di cassazione di annullare la sentenza e rinviarla in appello affinché il collegio la risolva alla luce del principio sancito: in caso di pluralità di locatori, ciascuno di essi, godendo di pieni poteri gestori – presumendosi, in difetto di prova contraria, il consenso degli altri – può agire per ottenere il rilascio dell'immobile senza che sia necessario integrare il contraddittorio.

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