Gestione Affitti

Il rinnovo automatico dell’affitto non abitativo è legale e non negoziale

di Selene Pascasi

La rinnovazione tacita alla prima scadenza del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo, per mancato esercizio, da parte del locatore, della relativa facoltà di diniego, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una semplice manifestazione di volontà negoziale. Pertanto, in caso di pignoramento del bene, la rinnovazione non necessita dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione.
Lo precisa la Corte di cassazione con sentenza n. 19522 del 19 luglio 2019 (relatore Dell'Utri) . Al centro della disputa la locazione di un immobile convenuta tra i tre proprietari e l'inquilino, con contratto di rinnovo quadriennale automatico in assenza di una tempestiva disdetta.
Nel corso del rapporto, però, il locale viene pignorato e il titolare di metà quota agisce per l'accertamento della cessazione dell'accordo non essendo intervenuta l'autorizzazione al rinnovo da parte del giudice dell'esecuzione.
La domanda, inizialmente accolta, viene bocciata in appello. È vero, spiegano i giudici di secondo grado, che negli anni le quote di comproprietà minori erano state sottoposte a pignoramento e che il proprietario del 50% del bene aveva manifestato tempestivamente la propria volontà di negare l'automatico rinnovo del contratto. Era anche vero, però, che gli altri comunisti avevano dissentito. Era stata superata, pertanto, quella presunzione di consenso di tutti i comproprietari all'attività gestoria singolarmente assunta, che gli avrebbe consentito di reclamare la cessazione del contratto senza prima munirsi del via libera del giudice.
Ma l'uomo non si arrende e porta il caso in Cassazione: tra i motivi, lamenta la circostanza che i comproprietari, siccome titolari di quote sottoposte a pignoramento, non possedevano alcuna legittimazione al libero esercizio dei diritti connessi al proprio titolo. Era lui, quindi, l'unico legittimato a disporre della facoltà di provvedere alla cessazione o alla rinnovazione del contratto di locazione. Peraltro, aggiunge, nessun rilievo avrebbe potuto attribuirsi all'intervenuta estinzione della procedura esecutiva essendosi l'effetto risolutorio del contratto di locazione già prodotto, senza che un evento successivo – salva volontà degli interessati, comunque mancata – avrebbe potuto modificarlo o revocarlo. Ricorso fondato.
Secondo la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 11830/2013) in tema di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza (per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione) costituisce effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale con la conseguenza che, in caso di pignoramento del bene, tale rinnovazione non necessita di una specifica autorizzazione da parte del giudice dell'esecuzione.
Da ciò deriva che la rinnovazione tacita alla seconda scadenza (sempre a seguito del mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di disdetta) costituisce una libera manifestazione di volontà negoziale per cui – nell'ipotesi di pignoramento dell'immobile locato eseguito in data antecedente la scadenza del termine per l'esercizio della facoltà di disdetta della locazione, la sua rinnovazione vuole l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione (Cassazione 11168/2015).
Così, nella vicenda, giunti al terzo rinnovo della locazione – vista la libera disponibilità del termine di scadenza contrattuale e sopravvenuto il pignoramento di alcune quote di proprietà – la mancata autorizzazione del giudice dell'esecuzione aveva senz'altro causato l'automatica cessazione di efficacia del contratto «poiché la comune volontà dei comproprietari locatori, in ipotesi diretta a consentirne l'eventuale rinnovazione, si sarebbe dovuta necessariamente formare previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione».
Nessun rilievo, pertanto, poteva attribuirsi al mero dissenso manifestato da due dei comunisti circa la gestione della cosa comune operata dal proprietario maggioritario, considerato che la sola modalità possibile per I'eventuale impedimento della definitiva scadenza della locazione sarebbe stata quella di adire, previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione, il giudice della comunione per provocare una decisione eventualmente difforme. Queste, le motivazioni che hanno indotto i giudici di legittimità a cassare la sentenza impugnata.

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