Gestione Affitti

Sfratto per affitto commerciale, la morosità deve «sconvolgere» tutto il rapporto

di Valeria Sibilio

Il mancato pagamento del canone di locazione di un immobile, ad uso diverso da quello abitativo, non consente di ritenere automaticamente in essere la gravità dell'inadempimento in quanto incidente su una delle obbligazioni primarie del contratto, ma è necessario che la morosità sia idonea a sconvolgere l'intera economia del rapporto tanto da portare il locatore alla soppressione dello stesso.
È quanto ha chiarito la sentenza 2349 del 2019 nella quale il Tribunale di Roma ha esaminato un caso originato dall'atto di intimazione di sfratto per morosità, da parte di un locatore, nei confronti del proprio conduttore.
L'intimante aveva esposto di essere stata nominata Custode Giudiziario e che l'immobi era stato locato dall'esecutata, con contratto di locazione ad uso non abitativo della durata di sei anni, decorrente dal 01 settembre 2012 e con prima scadenza al 31 agosto 2018 (già disdettato dal Custode Giudiziario), al canone annuo di euro 160.000,00, oltre IVA ed aggiornamento in base all'indice ISTAT nella misura del 75%, da corrispondersi in rate mensili anticipate di euro 13.333,33 oltre IVA ed aggiornamento Istat nella misura predetta.
Successivamente, a decorrere dal 1° luglio 2016, il contratto era stato ceduto ad un'altra società ed il Custode Giudiziario, tramite PEC dell'8 settembre 2017, aveva intimato alla conduttrice, senza alcun risultato, di versare i canoni dovuti alla locatrice esecutata. Per cui, la conduttrice risultava morosa nel pagamento dei canoni da ottobre 2017 a luglio 2018 per l'importo di euro 133.333,30, oltre IVA ed aggiornamenti Istat al 75%. Considerata la rilevante morosità maturata ed il perdurante inadempimento, il Giudice dell'Esecuzione aveva autorizzato la Custode ad intimare lo sfratto per morosità al conduttore dell'immobile pignorato ed a richiedere il pagamento dei canoni non corrisposti oltre a quelli successivi sino al rilascio.
In caso di opposizione, la Custode chiedeva il rilascio immediato dell'immobile, ai sensi dell'art. 665 cpc. La società intimata si costituiva in giudizio opponendosi allo sfratto e contestando le richieste, in particolare deducendo l'improponibilità della domanda, asserendo di aver già risolto il contratto, con scrittura privata intercorsa con la proprietaria e la debitrice esecutata, e di aver già rilasciato a quest'ultima i locali.
La Custode contestava tutto ciò in quanto la predetta scrittura, priva di data certa e non registrata, risultava, a suo dire, inefficace, inopponibile e priva di alcun valore nei confronti della Procedura e della Custodia, aggiungendo di non aver avuto notizia di tale scrittura e preteso rilascio dell'immobile che, anzi, in base a verifiche presso l'Agenzia delle Entrate, risultava locato alla intimata e dalla stessa occupato. Per cui, confermava la persistenza della morosità ed insisteva per l'accoglimento delle domande formulate e per l'emissione dell'ordinanza di rilascio. Il Giudice, ritenendo condivisibili le difese svolte dalla Custodia e non fondate su prova scritta le eccezioni della parte opponente, aveva pronunciato l'ordinanza di rilascio, con termine per l'esecuzione al 10 novembre 2018. La parte resistente, contestava le domande avverse invocandone il rigetto in quanto improponibili ed infondate.
Il tribunale accoglieva la domanda di risoluzione del contratto, basando il proprio giudizio sul fatto che, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale e per il risarcimento del danno, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi all'allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo della pretesa altrui. Lo stesso criterio di riparto dell'onere della prova si deve applicare nel caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento.
Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore sarà sufficiente l'allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento.
Nel caso in questione, è risultata dimostrata la legittimazione attiva della parte attrice nella qualità di Custode giudiziario della procedura esecutiva, pendente innanzi al Tribunale di Roma. Successivamente il contratto era stato ceduto alla società resistente. Gli artt. 65 e 560 cpc attribuiscono al solo custode la legittimazione a richiedere tanto il pagamento dei canoni locazione, quanto ogni altra azione che scaturisce dai poteri di amministrazione e gestione del bene pignorato.
Quando è nominato custode il proprietario (locatore), la gestione del contratto di locazione (stipulato prima o dopo il pignoramento) non appartiene al locatore (in quanto proprietario esecutato), ma al locatore (in quanto nominato custode).
Inoltre, le azioni per il pagamento dei canoni devono essere esercitate dal custode. Dopo il pignoramento, infatti, il locatore-proprietario perde la legittimazione sostanziale sia a richiedere al conduttore i canoni sia ad accertarli, spettando tale legittimazione in via esclusiva al custode, fino al decreto di trasferimento del bene.
Ritenendo, dunque, ammissibile l'intimazione di sfratto per morosità, la domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore è implicitamente contenuta e risulta tacitamente proposta con l'istanza di convalida dello sfratto. Con la conseguenza che il giudice deve statuire sulla domanda di risoluzione, così come, nella domanda di convalida di sfratto per morosità ed in quella conseguente di risoluzione del rapporto di locazione per inadempimento del conduttore, deve ritenersi implicita l'istanza di rilascio dell'immobile oggetto del contratto.
In tema di locazioni di immobili ad uso abitativo, il mancato pagamento del canone, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, costituisce un motivo di risoluzione del contratto, stabilendo, in modo tassativo, il presupposto dell'inadempimento contrattuale, effettuando in via automatica la valutazione dell'importanza dell'inadempimento nei contratti ad uso abitativo. Negli immobili ad uso diverso, invece, è il giudice a dover determinare, con valutazione discrezionale, la gravità dell'inadempimento. Infatti, a seguito dell'entrata in vigore della legge 27 luglio del 1978 n. 392, la valutazione, quanto al pagamento del canone, della gravità e dell'importanza dell'inadempimento del conduttore, in relazione all'interesse del locatore insoddisfatto, non è più rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice, ma è predeterminata legalmente, mediante la previsione di un parametro ancorato a due elementi: l'uno, di ordine quantitativo, afferente al mancato pagamento di una sola rata del canone o al mancato pagamento di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità del canone; l'altro, di ordine temporale, relativo al ritardo consentito e tollerato.
Nel caso in questione, la problematica è stata risolta attraverso l'applicazione dei criteri generali che presiedono alla disciplina dei contratti in tema di risoluzione per inadempimento e, in particolare, dell'art. 1455 c.c. che richiede, ai fini della pronuncia risolutoria, un inadempimento di non scarsa importanza di una delle parti. Da ciò, si deduce che, in caso di morosità per mancato pagamento del canone, non può reputarsi automaticamente sussistente la gravità perché l'inadempimento incide su una delle obbligazioni primarie scaturenti dal contratto, dovendosi invece accertare la gravità in concreto, cioè l'idoneità della mora a sconvolgere l'intera economia del rapporto e a sopprimere l'interesse del locatore alla prosecuzione del medesimo. Secondo la giurisprudenza, infatti, la valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento va operata applicando, in primo luogo, un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in modo apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto, ed in secondo luogo con l'indagine mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti che possano attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata. Perciò, il Tribunale ha ritenuto che il ritardato pagamento dei canoni di novembre e dicembre 2018, di gennaio e febbraio 2019 e l'inadempimento totale e definitivo dei canoni da ottobre 2017 a luglio 2018, sono da considerare un inadempimento duraturo, totale e definitivo e, come tale, grave.
Il Tribunale Ordinario di Roma ha, perciò, accertato e dichiarato la risoluzione del contratto di locazione stipulato e ceduto, confermando l'ordinanza di rilascio e condannando la società al pagamento dei canoni non corrisposti dalla data di subentro nel contratto (sino a dicembre 2018, euro 399.999,90) come previsto in contratto, oltre ulteriori canoni sino al rilascio dell'immobile, ed interessi al saggio legale dalle singole scadenze al soddisfo. Il Tribunale ha condannato, inoltre, la convenuta al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 607,90 +379,50 + 27,00 + 119,85 per esborsi, oltre ad euro 12.678,00 per compensi professionali.

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