Gestione Affitti

La morosità si valuta anche sulla base del comportamento dopo la domanda di sfratto

di Valeria Sibilio

L'intimazione di sfratto è da sempre una procedura che crea dolori sia al locatore che al locatario. Per il primo rappresenta l'ultima risorsa per ottenere quanto pattuito contrattualmente, per il secondo una condizione coatta per adempiere agli impegni presi, pena l'abbandono del nido domestico. La sentenza 416 del 2019, del Tribunale di Bologna, ha esaminato un caso originato dall'intimazione di sfratto per morosità notificato al proprio locatario dal Fallimento di una Srl, esponendo che con contratto del 30 aprile 2013 gli era stato concesso, per uso non abitativo, una porzione del proprio immobile al canone annuale di euro 20.000 oltre IVA, e che la conduttrice aveva maturato una morosità di euro 30.500 per i canoni dovuti da gennaio a marzo 2018, nonché di euro 4.896,02 per spese condominiali maturate da luglio 2016.
Il Fallimento chiedeva, inoltre, l'emissione dell'ingiunzione di pagamento per tali importi, oltre interessi, e per i canoni a scadere fino al rilascio. La convenuta si costituiva opponendosi alla convalida, eccependo il difetto di legittimazione ad agire, essendo stato l'immobile acquistato da un'altra società, subentrata nel contratto di locazione. Inoltre, deduceva di avere avuto, verso la società, un credito di euro 360.000 come evidenziato da una fattura del 18 agosto per prestazioni di servizi.
I rapporti di debito/credito fra le parti, risultanti dall'accordo di mediazione del 25 maggio 2016 erano stati oggetto di azione revocatoria fallimentare, ma la relativa pronuncia di accoglimento non poteva ritenersi efficace, imponendosi la sospensione del procedimento di convalida. Tale eccezione veniva precisata nelle note difensive depositate alla successiva udienza del 14 maggio 2018 nelle quali la convenuta deduceva che il Fallimento aveva incassato oltre euro 90.000,00 da propri conduttori nonostante i relativi crediti fossero stati ceduti dalla società a quella subentrata nel contratto di locazione, con l'accordo raggiunto in mediazione il 25 maggio 2016.
Questo importo, andava, perciò, posto in compensazione con il minor credito esposto dalla parte locatrice nell'atto di intimazione, venendo conseguentemente meno la morosità. Con provvedimento del 23 maggio 2018 veniva emessa l'ordinanza provvisoria di rilascio per la data del 10 giugno 2018. L'attore precisava il proprio credito in complessivi euro 42.685,84, aggiunti alla somma di euro 6.100,00 per i canoni dovuti sino al 30 giugno 2018 ed euro 1.189,86 per le spese condominiali successive.
Nel contratto di locazione, ai fini della pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore, la gravità dell'inadempimento di quest'ultimo va valutata anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda, per cui, in tal caso, come in tutti quelli di contratto di durata in cui la parte che abbia domandato la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l'adempimento della propria obbligazione, non è neppure ipotizzabile il venir meno dell'interesse del locatore all'adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore.
La società sollevava eccezione di compensazione anche con riguardo al proprio credito di euro 176.100,03, residuo della fattura del 18 agosto, rappresentando di avere comunque versato euro 84.500,00 con bonifici eseguiti fra luglio e novembre 2016. La società subentrata, interveniva volontariamente in giudizio, associandosi alla domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice e domandando il pagamento dei canoni e delle spese condominiali scadute e a scadere.
Veniva giudicata infondata l'eccezione di difetto di legittimazione ad agire del Fallimento, in quanto, essendo il decreto di trasferimento in favore della società intervenuto solo il 2 luglio 2018, al momento dell'inizio del procedimento, il Fallimento era ancora proprietario dell'immobile locato, verificandosi solo con trasferimento della proprietà del bene locato il subentro dell'acquirente nel rapporto di locazione in essere. Per la giurisprudenza, colui che sia convenuto in giudizio dal locatore per la restituzione dell'immobile locato non può contestare la legittimazione dell'attore allegando la mancanza del diritto reale sul bene in capo al medesimo ovvero il trasferimento a terzi della proprietà del bene, o, ancora, la perdita da parte del medesimo, della relativa disponibilità.
Con verbale di conciliazione del 25 maggio 2016 le due società, di cui la prima debitrice della seconda di euro 176.100,32, si accordavano definendo che, sino alla concorrenza di tale importo, la prima cedeva alla seconda i propri crediti relativi ai canoni di locazione dovuti a partire dall'1° giugno 2016 dai conduttori di altre unità immobiliari posti nel medesimo complesso. Il Tribunale di Bologna dichiarava l'inefficacia della suddetta cessione di credito e condannava la società subentrata a restituire al Fallimento la somma di euro 139.193,79 versatale dal conduttore ceduto.
La società non coltivava l'eccezione di compensazione relativa alla restituzione delle somme, quantificate in circa euro 90.000,00 che, successivamente all'azione revocatoria, il Fallimento avrebbe incassato dai propri conduttori. Tale eccezione, come evidenziato nell'ordinanza ex art. 665 cpc, risultava infondata. La legittimazione del Fallimento ad incamerare i crediti ceduti derivava dall'accoglimento dell'azione revocatoria del negozio di cessione che non è dunque opponibile alla procedura. La natura costitutiva della sentenza non escludeva che fosse immediatamente efficace per gli aspetti dipendenti, essendo l'anticipazione compatibile con la produzione dell'effetto costitutivo nel momento temporale successivo del passaggio in giudicato. Per queste ragioni non potevano ravvisarsi i presupposti per la sospensione del procedimento. Fondata è risultata, invece, l'eccezione di compensazione sollevata dalla conduttrice in merito al credito della società subentrata di euro 176.100,32 rappresentato nel verbale di conciliazione del 25 maggio 2016, e riconosciuto anche dal Fallimento.
Al momento dell'intimazione dello sfratto, a fronte del credito del Fallimento di euro 35.395,98, la società era a sua volta creditrice della fallita per euro 36.906,53, ovvero per la differenza fra il credito di euro 176.100,32 e la somma di euro 139.193,79 che aveva già incassato ad estinzione del proprio credito dalla debitrice ceduta, non avendo peraltro mai il fallimento allegato l'incasso, da parte della società, di importi superiori a quelli indicati nell'ordinanza. Quanto incassato da quest'ultima in attuazione della cessione di credito, aveva estinto, per l'importo corrispondente, il suo credito di euro 176.100,32 del tutto indipendentemente dalla sopravvenuta revocatoria fallimentare, che comporta l'inefficacia solo relativa dell'atto rispetto alla massa dei creditori.
La società subentrata non poteva, dunque, opporre al Fallimento in compensazione un credito estinto, non risultando, inoltre, che avesse dato esecuzione alla restituzione dell'importo di euro 139.193,79.
Il Fallimento sosteneva che in ragione dell'inefficacia dell'azione revocatoria, l'intero credito di euro 176.100,32 si sarebbe estinto mediante il negozio di cessione dei crediti. La natura consensuale del contratto di cessione di credito comporta che il relativo perfezionamento consegua al solo scambio del consenso tra i contraenti, ma non importa che al perfezionamento del contratto consegua il trasferimento del credito dal cedente al cessionario. Nel caso di cessione di un credito futuro il trasferimento del credito al cessionario si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza, mentre, prima di tale data, la cessione, pur perfetta, è destinata ad esplicare efficacia obbligatoria.
Revocata, quindi, la cessione relativa all'accordo del 25 maggio 2016, i crediti per canoni degli immobili sorgevano nei confronti del Fallimento e, perciò, diversi da quelli oggetto della cessione.
La conduttrice, inoltre, non aveva allegato a quale titolo avesse fatto versamenti, né posto gli stessi a fondamento di alcuna domanda o eccezione. Per quanto, per effetto di compensazione non si fosse configurato, al momento della notifica dell'intimazione di sfratto, alcuna morosità della conduttrice, risultando essa in credito di euro 1.510,55. la società subentrata non aveva omesso ogni pagamento successivamente all'intimazione, sia del canone, a partire da aprile 2018, che delle spese condominiali a partire dal gennaio 2018.
Tale inadempimento, ingiustificatamente protrattosi sino all'esecuzione del rilascio nel dicembre 2018, configurava un inadempimento grave per il quale, in tema di contratto di locazione, la sua gravità va valutata anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda, giacché in tal caso non è neppure ipotizzabile il venir meno dell'interesse del locatore all'adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore.
Il Giudice ha, perciò, dichiarato risolto, per inadempimento della conduttrice, il contratto di locazione e condannato la locataria a riconsegnare l'immobile locato ed a pagare al Fallimento, i canoni sino alla mensilità di giugno 2016 compresa, quantificati in euro 5.779,31 oltre interessi. Il Tribunale ha, inoltre, condannato la locataria a rifondere al Fallimento ed alla società subentrata le spese di lite, liquidate, per il primo, in euro 305,00 per anticipazioni ed euro 4.835,00 per compensi, oltre al 15% dei compensi per rimborso spese generali.

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