Gestione Affitti

Affitti turistici, serve il Codice ma il locatore non è il gestore di una struttura ricettiva

di Fabio Diaferia (presidente di Pro.Loca.Tur.)


Affitti turistici: per la Corte Costituzionale è legittimo che la Regione chieda l'uso del CIR ma non che equipari l'attività negoziale del locatore a quella del gestore di case e appartamenti per vacanze
Con sentenza n. 84 del 6 marzo 2019, depositata in cancelleria il giorno 11 aprile 2019, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, lettere a), b) e c) della legge della Regione Lombardia 25 gennaio 2018 n. 7 (Istituzione del codice identificativo da assegnare a case appartamenti per vacanze) promosse dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
La Corte ha ritenuto che la disciplina degli aspetti turistici della locazione ricadano nella competenza residuale delle Regioni, affermando che appartengano invece all'ordinamento civile la regolamentazione dell'attività negoziale e dei suoi effetti.
La Corte ha altresì osservato che il legislatore regionale lombardo, prevedendo che anche i locatori turistici debbano munirsi di un apposito codice identificativo di riferimento (CIR) abbia inteso creare una mappa del rilevante nuovo fenomeno della concessione in godimento a turisti di immobili di proprietà e ciò al fine di esercitare al meglio le proprie funzioni di promozione, vigilanza e controllo delle attività turistiche.
La Corte ha poi precisato che per i locatori, inviare al comune una comunicazione al fine di ottenere il CIR di cui alla legge 7/2018, coincidente con il numero di protocollo attribuito dal comune alla comunicazione ricevuta, rappresenta un adempimento amministrativo precedente ed esterno al contratto di locazione turistica che non incide sulla libertà negoziale e sulla sfera contrattuale che restano disciplinate dal diritto privato.
E' dunque legittimo per la Regione prevedere che anche i locatori turistici debbano inviare al comune una preventiva comunicazione e che poi debbano utilizzare come CIR negli annunci il numero di protocollo attribuito dal comune all'atto della ricezione della comunicazione, ma non è legittimo prevedere la completa coincidenza tra locatore e gestore di cav perché ciò rappresenterebbe una indebita ingerenza nella sfera della attività negoziale del locatore che appartiene all'ordinamento civile.
La Corte con alcuni obiter dicta ha fatto, incidentalmente, anche alcune altre importanti considerazioni.
Ricordando che la libertà negoziale e la sfera contrattuale (in relazione al contratto di locazione turistica) restano disciplinate dal diritto privato e che appartengono all'ordinamento civile la regolamentazione dell'attività negoziale del contratto di locazione turistica e dei suoi effetti, la Corte ha ribadito che la fattispecie della locazione, anche turistica, dal punto di vista dell'attività svolta dal locatore, resta una fattispecie che attiene all'ordinamento civile e sulla quale, quindi, lo Stato ha competenza legislativa esclusiva. Il fatto che la locazione, nel caso che qui interessa, possa avere una finalità turistica, attribuisce alla Regione solo una competenza legislativa residuale in relazione alle sole funzioni di promozione, vigilanza e controllo delle attività turistiche.
Questo significa innanzitutto che la Regione non ha alcun poter di qualificare la fattispecie della locazione, ancorché turistica, parificandola in tutto e per tutto ad altre fattispecie quali sono quelle delle vere e proprie “attività turistico ricettive” e non ha alcun potere di attribuire agli alloggi dati in locazione per finalità turistiche la qualifica di strutture ricettive, potendo solo esercitare, anche rispetto alla locazione turistica, le sue funzioni di promozione, vigilanza e controllo.
Ma questo significa soprattutto che la Regione non ha e non avrà alcun potere di dettare disposizioni legislative o regolamentari che attengano alla natura e all'oggetto del contratto di locazione turistica e, in particolare, non ha e non avrà alcun potere: di determinare di che cosa il locatore possa o debba concedere il godimento al conduttore; di determinare il numero di contratti di locazione turistica che un singolo proprietario può stipulare; di determinare il numero massimo di immobili che un singolo proprietario può dare in locazione al fine di non essere qualificato “imprenditore turistico” ai sensi dell'articolo 2082 del codice civile e dell'articolo 4 del Codice del Turismo (D.Lgs. 79/2011); di determinare la durata minima o massima del contratto che è elemento del contratto di locazione; di stabilire che un proprietario non possa stipulare contratti di locazione per tutto il corso dell'anno se non iscrivendosi al registro delle imprese e assumendo così la qualifica di imprenditore.
L'oggetto del contratto “tipico” di locazione è determinato dall'articolo 1571 del codice civile secondo cui: “La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato periodo di tempo, verso un determinato corrispettivo.” Questa norma dice che l'attività negoziale del locatore consiste esclusivamente nella concessione del godimento, esclusa quindi ogni attività gestoria e ogni prestazione di eventuali servizi complementari, sicché l'attività del locatore non può essere equiparata a quella di casa e appartamento per vacanze di cui all'articolo 26 della legge Regione Lombardia 27/2015.
Si deve ricordare che, in virtù del principio dell'autonomia contrattuale (articolo 1322 del codice civile), le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. La Corte ha precisato che la sfera contrattuale del contratto di locazione turistica resta disciplinata dal diritto privato e, quindi, l'unica legge che può imporre limiti all'autonomia contrattuale delle parti, nel determinare il contenuto del contratto, è l'ordinamento civile (cioè la legge dello Stato).
In virtù del principio ribadito dalla Corte, spetta quindi solo alle parti determinare che cosa le stesse vogliono che costituisca oggetto del godimento concesso dal locatore al conduttore e per quale periodo di tempo vogliono che il godimento venga concesso. Si deve quindi ritenere che la sentenza delle Corte abbia determinato anche l'implicita abrogazione dell'articolo 3 del Regolamento Regionale 5 agosto 2016 n. 7 nella parte in cui prevede che la locazione di alloggi o porzioni degli stessi per finalità turistiche e per un durata non superiore a trenta giorni ai sensi della legge 431/1998 debba comprendere anche la concessione del godimento di tutte le cose mobili elencate nell'allegato B allo stesso Regolamento, quali ad esempio, il bollitore elettrico e lo straccio per i pavimenti.
Sempre in virtù del principio per cui spetta all'autonomia contrattuale delle parti di determinare il periodo di tempo per il quale viene concesso il godimento di un immobile anche per finalità turistiche, il legislatore regionale non può interferire dettando regole sulla durata minima o massima del contratto di locazione turistica. D'altro lato, ci ha già pensato il legislatore statale a dettare norme di carattere suppletivo, per il caso in cui le parti non abbiano stabilito la durata del contratto, o a stabilire limiti massimi. Il legislatore civile, infatti, all'articolo 1574 del codice civile ha stabilito che nel caso in cui le parti non abbiano determinato la durata della locazione di camere o appartamenti mobiliati, essa corrisponda all'unità di tempo a cui è commisurata la pigione. All'articolo 1607 del codice civile ha stabilito che la locazione di una casa di abitazione possa essere convenuta per tutta la durata della vita dell'inquilino e per due anni successivi alla sua morte, senza tuttavia prevedere una durata minima. All'articolo 1, comma 2, lettera c) della legge 431/1998 ha stabilito che agli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche non si applica l'articolo 2 della stessa legge che impone una durata minima di quattro anni, rinnovabili per altri quattro.
Quanto stabilito in obiter dictum dalla Corte Costituzionale costituisce quindi un limite invalicabile per qualsiasi legislatore regionale. In virtù del principio sancito dall'articolo 832 del codice civile che attribuisce al proprietario il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, nessuna Regione potrà mai, come aveva provato a fare Regione Toscana prima di fare dietrofront, stabilire quanti contratti di locazione turistica possano essere stipulati da uno stesso locatore e quanti appartamenti possano essere dati in locazione da uno stesso proprietario, neppure al fine di attribuire a quel proprietario la qualifica di imprenditore. E' stata infatti la stessa Corte Costituzionale, richiamando la propria giurisprudenza e, in particolare la sentenza n. 80 del 2012, che si pronunciò sulle questioni di legittimità costituzionale che alcune Regioni sollevarono nei confronti del cosiddetto Codice del Turismo (D.Lgs. 79/2011), a ricordare che è di competenza esclusiva del legislatore statale dare la definizione di impresa, anche di tipo turistico. Giova qui ricordare che con la suddetta sentenza, la Corte dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale in riferimento all'articolo 4 del Codice del Turismo, che dà tutt'ora la definizione di imprese turistiche, affermando che detta norma si mantiene nell'ambito della materia dell'ordinamento civile di competenza esclusiva dello Stato. Ciò naturalmente pone il problema della legittimità dell'articolo 26, comma 2, della legge Regione Lombardia 27/2015 che, in relazione alle cav (case e appartamenti per vacanze) dà una propria definizione di “impresa”, completamente avulsa dai criteri stabiliti in generale dal codice civile (articolo 2082) e in particolare dal Codice del Turismo (art. 4), ma basata esclusivamente sul numero delle unità immobiliari a disposizione di uno stesso gestore e sull'osservanza di un periodo di interruzione dell'attività non inferiore a novanta giorni all'anno.
L'articolo 1571 del codice civile, come detto, stabilisce che affinché vi sia locazione occorre che vi sia esclusivamente la concessione del godimento di cose mobili e immobili. La previsione di ulteriori prestazioni del locatore a favore del conduttore determinerebbe la fuoriuscita dalla fattispecie del contratto tipico di locazione e la sua riqualificazione come un contratto di altro tipo o come un contratto atipico quale potrebbe essere quello che regolamenta la fattispecie prevista dall'articolo 26 della legge Regione Lombardia 27/2015 in base al quale: “Sono definite case e appartamenti per vacanze le strutture ricettive gestite in modo unitario e organizzate per fornire alloggio e eventualmente servizi complementari, in unità abitative, o parti di esse, con destinazione residenziale, composte da uno o più locali arredati e dotati di servizi igienici e di cucina e collocate in un unico complesso o in più complessi immobiliari.” Nell'attività di casa e appartamento per vacanze quindi, alla fornitura di alloggio si accompagnano: la gestione unitaria, l'organizzazione e la fornitura di eventuali servizi complementari. Ciò è più che sufficiente per poter affermare che una parificazione tra la fattispecie di cui all'articolo 1571 del codice civile (locazione, anche turistica) e quella di cui all'articolo 26 della legge Regione Lombardia 27/2015 sarebbe del tutto ingiustificata se andasse oltre i ristretti limiti fissati dalla Corte e quindi se andasse oltre l'obbligo di comunicazione al comune finalizzata alla attribuzione del CIR e quindi a consentire alla Regione l'esercizio delle sue funzioni di promozione, vigilanza e controllo delle attività turistiche.
Dunque, in base alla sentenza 84/2019, la Regione può legittimamente pretendere che un locatore effettui una comunicazione al comune e che utilizzi il numero di protocollo attribuito dal comune come CIR nei propri annunci pubblicitari, ma non può pretendere che un locatore, per ottenere detto CIR comunichi alla Regione di essere il gestore di una casa e appartamento per vacanze di cui all'articolo 26 della l.r. 27/2015 perché ciò vorrebbe dire che per la Regione la locazione turistica di un appartamento equivarrebbe alla gestione organizzata di una struttura ricettiva per fornire alloggio e eventualmente servizi complementari in unità abitative con destinazione residenziale e ciò rappresenterebbe un'indebita riqualificazione della attività negoziale del locatore che la Corte ha ribadito spettare in via esclusiva all'ordinamento civile.
La Corte ha ritenuto legittima la parificazione delle locazioni turistiche alle case vacanza “QUANTO AL CIR” e quanto alla preventiva comunicazione al comune necessaria per ottenerlo. Ma proprio sulla base di quell'inciso “QUANTO AL CIR”, si deve ritenere che la Corte non abbia inteso avallare nessuna ulteriore parificazione. Ulteriori parificazioni, d'altro canto, non avrebbero giustificazione alcuna perché, come si è già visto, la locazione turistica si traduce nella mera concessione in godimento di cose mobili e immobili da parte del proprietario e quindi in una modalità di esercizio del diritto di proprietà privata, mentre quella della cav è una vera e propria attività, commerciale o imprenditoriale, consistente in una “gestione” unitaria e organizzata volta alla fornitura di alloggio ed eventuali servizi ad esso complementari. Ulteriori parificazioni potrebbero portare alla assurda, oltre che illegittima, conseguenza che anche per le locazioni turistiche dovrebbe trovare applicazione l'obbligo di osservare un periodo di interruzione dell'attività non inferiore a novanta giorni all'anno, anche non continuativi, stabilito per le case e appartamenti per vacanze dall'articolo 26, comma 2, lettera b) della l.r. 27/2015, che si tradurrebbe in un vero e proprio divieto di contrarre o, peggio, in una vera e propria limitazione per il proprietario, ad opera di una legge regionale, di disporre della cosa (alloggio) in modo pieno ed esclusivo come stabilito dall'articolo 832 del codice civile. Per non dire del fatto che la totale parificazione della locazione all'attività di gestione di una struttura ricettiva determinerebbe, indirettamente, anche la riqualificazione del reddito prodotto dal locatore da “reddito fondiario”, assoggettabile a cedolare secca, a “reddito “diverso” o a “reddito di impresa”.
Sull'assunto che la Corte abbia voluto ammettere la parificazione tra locazione turistica e cav (case e appartamenti per vacanze) SOLO QUANTO AL CIR e non anche all'attività negoziale delle due diverse fattispecie, alla Regione non resterà che adottare modalità di richiesta di detto CIR che consentano al cittadino di evidenziare se il CIR è chiesto in qualità di gestore di una struttura ricettiva di cui all'articolo 26 della l.r. 27/2015 oppure in qualità di proprietario di un alloggio dato in locazione turistica ai sensi dell'articolo 1571 e seguenti del c.c.. Viceversa, i cittadini tenuti a comunicare al comune l'avvio della attività di locazione turistica e quindi ad utilizzare il CIR che verrà loro attribuito, si troverebbero nella assurda situazione di non poterlo fare se non “rinunciando”, contro la propria volontà, alla propria qualifica di locatore turistico per assumere quella di gestore di una struttura ricettiva (CAV) e ciò al solo fine di evitare l'applicazione di sanzioni amministrative.
D'altronde non è difficile comprendere che “parificare” significa attribuire una parità di trattamento sul piano amministrativo ma senza “cancellare” l'identità di ciò che viene parificato a qualcos'altro. Una scuola privata parificata ad una scuola pubblica sarà soggetta alla stesso trattamento amministrativo di quella pubblica ma resterà una scuola privata anche quando dovrà compilare un modulo nel quale, mai, potrà dichiarare di essere una scuola pubblica. E lo stesso dicasi per il locatore turistico, parificato al gestore della cav dal punto di vista del CIR e della comunicazione al comune, ma al quale non potrà mai essere chiesto o imposto di dichiarare di essere un gestore di cav allorché manderà una comunicazione al comune o chiederà un CIR.
La Corte ha poi definito la concessione in godimento a turisti di immobili di proprietà come un fenomeno nuovo, ribadendo così indirettamente che esso non ha nulla a che fare con la fattispecie, non certamente nuova, delle “case e appartamenti per vacanze” che già quasi quarant'anni fa nella abrogata legge 17 maggio 1983 n. 217 venivano così definite (art. 6, comma 9): “Sono case e appartamenti per vacanze gli immobili arredati gestiti in forma imprenditoriale per l'affitto ai turisti, senza offerta di servizi centralizzati, nel corso di una o più stagioni, con contratti aventi validità non superiore ai tre mesi consecutivi.”
La Corte sembra infine aver lanciato un messaggio chiaro anche all'ISTAT. Se la concessione in godimento a turisti di immobili di proprietà è un fenomeno nuovo, i movimenti dei turisti che godono di detti immobili in forza di contratti tipici di locazione meritano di essere rilevati come fenomeno nuovo senza ricondurli forzatamente e ingiustificatamente all'unica fattispecie attualmente prevista dal Programma Statistico Nazionale e cioè a quella della rilevazione dei movimenti dei clienti degli esercizi ricettivi.
E' quindi altresì auspicabile che anche il Sistema di Gestione dei Flussi Turistici (Portale Turismo 5) venga adeguato per recepire le due differenti fattispecie e consentendo al proprietario di un alloggio dato in locazione turistica che fa richiesta di credenziali per l'accesso al Sistema, di essere censito nel menù “Anagrafica” come locatore e non come Titolare di un Esercizio Ricettivo. Esattamente come hanno fatto le Questure, allorché hanno adeguato la propria modulistica per la richiesta delle credenziali di accesso al portale AlloggiatiWeb, a seguito del d.l. 113/2018.
Resta poi da considerare che la Corte ha definito come adempimento amministrativo non eccessivamente gravoso quello della comunicazione preventiva al comune previsto dalla l.r. 7/2018 e rispetto alla quale la questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta non fondata. In base alla l.r. 7/2018, il CIR avrebbe, infatti, dovuto essere riferito al numero di protocollo rilasciato dal comune al momento della ricezione della comunicazione di avvio attività di cui al comma 1 dell'articolo 38 della legge 27/2015. Così però non è stato perché la Giunta di Regione Lombardia con deliberazione n. XI/280 del 28 giugno 2018 (e quindi successiva al ricorso del Governo) ha stabilito che il CIR dovesse coincidere non già con il numero di protocollo attribuito dal comune all'atto della ricezione della preventiva comunicazione di cui all'articolo 38, comma 1, della l.r. 27/2015, ma con il Codice Regione attribuito dal Sistema di Gestione dei flussi turistici “Turismo 5” e acquisibile dai gestori delle strutture ricettive di cui all'articolo 26 della legge 27/2015, compresi gli alloggi o le porzioni di alloggi dati in locazione per finalità turistiche ai sensi della legge 431/1998, all'ottenimento delle credenziali da parte della competente Provincia o della Città Metropolitana di Milano.
Se dunque la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di illegittimità costituzionale rispetto all'estensione ai titolari di appartamenti dati in locazione turistica dell'obbligo di previa comunicazione al comune competente, definito dalla stessa Corte un adempimento non eccessivamente gravoso, il problema si ripropone rispetto a quello che è a tutti gli effetti un procedimento amministrativo per l'ottenimento delle credenziali di accesso al Sistema di Gestione dei flussi turistici “Turismo 5”, regolato dalla legge 241/1990, dagli Statuti e dai Regolamenti delle Province e della Città Metropolitana di Milano, che prende avvio su istanza di parte e che deve concludersi, nei termini stabiliti, con un provvedimento espresso e motivato, che deve essere notificato al destinatario con l'indicazione dell'autorità cui è possibile ricorrere e dei termini per la proposizione del ricorso. Non è così certo che questo procedimento amministrativo, possa essere ritenuto non eccessivamente gravoso. Si aggiunga poi che, dovendo il cittadino attendere l'esito di detto procedimento per l'ottenimento delle credenziali e quindi del CIR, egli si vedrebbe di fatto sospesa la possibilità di esercitare il diritto di proprietà non potendo pubblicare un annuncio fino a quando l'amministrazione, non abbia concluso il procedimento con l'emanazione del provvedimento amministrativo di rilascio delle credenziali. E' quindi auspicabile che il TAR Lombardia dinnanzi al quale è pendente un ricorso per l'annullamento della DGR XI/280 del 28 giugno 2018, si pronunci nel senso della legittimità del CIR come numero di protocollo della comunicazione al comune e sull'illegittimità del CIR come credenziale di accesso al portale Turismo 5 rilasciata al termine del procedimento amministrativo.
Sorprende infine che la Corte non abbia ritenuto irragionevoli le sanzioni amministrative della sospensione e della cessazione dell'attività di locazione che potrebbero concretamente attuarsi solo mediante l'apposizione dei sigilli ad un appartamento di proprietà privata, inibendone così anche l'uso abitativo diretto da parte del proprietario o una locazione di tipo non turistico. Ciò si tradurrebbe di fatto in una sospensione da parte dell'autorità amministrativa dell'esercizio del diritto di proprietà privata o addirittura di cessazione dello stesso.

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