Gestione Affitti

Case vacanza, se ai problemi si rimedia subito il contratto resta valido

di Valeria Sibilio

Sono sempre più numerose le persone, in particolare coppie di giovani, che non disponendo di ingenti risorse economiche, si orientano, per le proprie ferie, verso strutture alternativa agli alberghi, come le case vacanze che garantiscono un soggiorno economica e conveniente, assicurandosi anche una maggiore privacy. Ma cosa accade se, per qualche motivo, le aspettative positive non trovano un riscontro nella realtà?
Una risposta arriva dall'ordinanza 7095 del 2019, dove la Cassazione ha esaminato un caso relativo ad una richiesta, da parte di una coppia di conduttori, di risoluzione del contratto di locazione stipulato con la locatrice e di risarcimento danni per le condizioni igieniche dell'appartamento. Una richiesta rigettata in primo grado e confermata dalla Corte d'appello la quale aveva rilevando che le pur pessime condizioni igieniche e di manutenzione dell'appartamento concesso in godimento, non integravano la gravità dell'inadempimento richiesta per la risoluzione del contratto. Inoltre, la locatrice si era immediatamente offerta di procedere alla pulizia dei locali o di concedere un altro appartamento, della medesima categoria, ricevendo tuttavia un rifiuto da parte dei conduttori. La possibilità di rimediare efficacemente, in poche ore, all'iniziale inesattezza dell'adempimento, e senza un disagio apprezzabile sul godimento del bene locato, impediva di ravvisare un definitivo pregiudizio dell'interesse dei conduttori legittimante la risoluzione del contratto. Da ciò l'infondatezza della domanda risarcitoria relativa ai danni inerenti la vacanza pregiudicata, il danno biologico per aggravamento della malattia subito dal minore affetto da dermatite atopica su base allergica ed i danni patrimoniali per deterioramento di generi alimentari, in quanto privi di riscontri probatori anche sotto il profilo causale.
Tale sentenza veniva impugnata, per Cassazione, dai conduttori sulla base di cinque motivi, ai quali resisteva la locatrice con controricorso.
Con il primo ed il secondo motivo, in relazione alla proposta eccezione di incapacità a testimoniare, i ricorrenti censuravano la sentenza impugnata, rispettivamente, in ordine alla errata valutazione della incapacità del teste, il quale aveva agito quale rappresentante della locatrice, nonché in ordine alla errata rilevazione della rinuncia ad avvalersi della relativa eccezione volta a far valere la nullità relativa della prova orale. Due motivi trattati, dagli ermellini, congiuntamente in quanto volti entrambi a denunciare un vizio di nullità processuale. Quando col ricorso per cassazione viene denunciato il compimento di un'attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, il Giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, in quanto l'oggetto del sindacato di legittimità è il “fatto processuale”.
Nel caso di specie, i motivi sono risultati infondati. Attenendosi ai principi enunciati dalla Cassazione, per la Corte d'Appello la nullità della deposizione testimoniale resa da persona incapace deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, anche quando l'incapacità sia stata eccepita prima dell'assunzione, in quanto le disposizioni limitative della capacità dei testi a deporre, non costituendo norme di ordine pubblico, sono dettate nell'esclusivo interesse delle parti che possono legittimamente rinunciare, anche tacitamente, alla relativa eccezione, facendo acquiescenza al provvedimento di rigetto dell'eccezione come nel caso in cui la stessa non sia riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. Nel caso esaminato, l'eccezione di incapacità del teste era stata formulata a verbale della udienza 24 giugno 2015 di escussione del testimone, e poi era stata nuovamente dedotta, soltanto con la comparsa conclusionale e quindi riproposta come motivo di gravame con l'atto di appello. L'eventuale nullità derivante dalla incapacità di un teste rimane sanata qualora la relativa eccezione non venga ritualmente e tempestivamente proposta immediatamente dopo che la prova è stata assunta e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni, risultando, pertanto, tardivo il rilievo effettuato solo con la comparsa conclusionale.
Qualora la parte in sede di ricorso per cassazione deduca l'omessa pronuncia del giudice d'appello su detta eccezione, adducendo di averla formulata nella conclusionale di primo grado e poi proposta come motivo d'appello, la Corte di Cassazione può rilevare d'ufficio che l'eventuale nullità derivante dall'incapacità del teste è rimasta sanata per l'irritualità della relativa eccezione di modo che resta irrilevante l'omissione di pronuncia.
I motivi terzo e quinto con i quali si contestava rispettivamente, la valutazione compiuta dal Giudice di appello riguardo la non gravità dell'inadempimento alla risoluzione del contratto locativo, e il rigetto della domanda risarcitoria del danno biologico, prima ancora che inammissibili, in quanto estranei al paradigma del vizio di legittimità sindacabile da questa Corte, non hanno trovato accesso alla verifica di legittimità, non essendo dimostrato che le ragioni poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, erano tra loro diverse. Inammissibile anche il quarto motivo inerente il presunto errato presupposto che il Giudice di appello avesse rigettato la domanda di risarcimento di alcune voci di danno conseguenti ai vizi riscontrati nell'immobile locato, in quanto il motivo il Giudice di merito aveva comunque esaminato le domande risarcitorie in relazione ai diversi pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali lamentati come conseguenza dell'inadempimento contrattuale, escludendo che i danneggiati avessero assolto idoneamente all'onere probatorio.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

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