Gestione Affitti

Il contratto d’affitto non si può «blindare» per facilitare lo sfratto

di Selene Pascasi

Non è una clausola risolutiva espressa quella che prevede che tutte le clausole di un contratto di locazione siano essenziali e formino un unico ed inscindibile contesto, tanto che violarne una abiliti le parti ad attivarsi per l'applicazione delle relative sanzioni. Lo puntualizza il tribunale di Roma con sentenza n. 20536 del 24 ottobre 2018.
Apre la controversia lo sfratto per morosità intimato ad una società “colpevole” di non aver pagato circa 90 mila euro di canoni pur avendo adoperato un immobile a suo tempo locatole dall'Inps.
Ulteriore richiesta? Quella di risolvere il contratto per inadempimento e – stante la clausola risolutiva espressa contenuta nell'accordo – condannarla al risarcimento dei danni, al rilascio del bene ed a saldare il dovuto. Il legale rappresentante della S.r.l., oppostosi alla convalida dello sfratto, adduce l'inesigibilità dei mensili visti i problemi di staticità del bene già denunciati per iscritto.
Tutto inutile. Il giudice ordina lo sgombero e, mutato il rito, la causa prosegue. L'azione formulata dalla ricorrente, si precisa nella pronuncia, è un'azione di risoluzione (costitutiva) e dichiarativa. Peraltro, era stata invocata la clausola risolutiva espressa contenuta nel corpo del contratto. Ed è noto che nel procedimento per convalida di sfratto sono ammissibili non soltanto le pronunce costitutive di risoluzione ma anche le azioni di mero accertamento, quali quelle relative all'avvenuta risoluzione della locazione per effetto della clausola risolutiva espressa, di cui il locatore dichiari di avvalersi.
Resta da comprendere, allora – afferma il giudice capitolino – se la clausola risolutiva espressa richiamata fosse realmente valida e idonea a far dichiarare la risoluzione del contratto per l'inadempimento convenzionalmente sanzionato o se invece si dovesse accertare la concreta gravità della violazione.
Ebbene, nella vicenda, le clausole non avevano i requisiti, di contenuto e forma, necessari per esser qualificate come risolutive. Del resto, per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate non essendo sufficiente l'inserimento di una clausola «redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto, con la conseguenza che, in tale ultimo caso, l'inadempimento non risolve di diritto il contratto, sicché di esso deve essere valutata l'importanza in relazione alla economia del contratto stesso, non essendo sufficiente l'accertamento della sola colpa, come previsto, invece, in presenza di una valida clausola risolutiva espressa».
In altri termini – come sostenuto dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 4796/2016 – la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per gravi e reiterate violazioni dell'altro a tutti gli obblighi da esso discendenti sarà nulla per indeterminatezza dell'oggetto giacché nulla aggiunge in termini di «determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell'importanza dell'inadempimento dell'altra». Ecco che il tribunale, nella fattispecie, dovendo esaminare il solo profilo della risoluzione del contratto per inadempimento della società conduttrice, non poteva che accogliere la pretesa del proprietario-creditore. Egli, infatti, aveva senza dubbio assolto agli oneri di prova che gli incombevano, producendo in giudizio il contratto locativo stipulato e, quindi, titolo e scadenza delle obbligazioni inadempiute. Al contrario, l'inquilina non era riuscita a dimostrare l'esistenza di fatti impeditivi, modificativi od estintivi idonei a paralizzare la domanda di controparte.
Ancora, per appurare sia la gravità che l'importanza dell'inadempimento, il criterio da seguire è – almeno per le locazioni ad uso diverso – quello sancito dall'articolo 1455 del Codice civile (a norma del quale il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra) salva la facoltà del giudice di utilizzare come parametro orientativo quello della legge 392/1978 sull'omesso versamento dei canoni concordati. Gravità dell'inadempimento che, ribadisce Corte di cassazione 3477/2012, va verificata anche d'ufficio trattandosi di «elemento che attiene al fondamento stesso della domanda e non solo in relazione all'entità oggettiva dell'inadempimento, ma anche con riguardo all'interesse che l'altra parte intende realizzare» e sulla base di un criterio che consenta di coordinare il giudizio sul dato oggettivo della mancata prestazione con i fattori soggettivi. Esemplificativa è la parola della Corte di cassazione 987/2007 quando afferma che la violazione commessa da una delle parti si riterrà grave solo se atta a «turbare l'equilibrio contrattuale così come risulta dalla clausole cui i contraenti hanno attribuito valore maggiore ed essenziale». E una tale valutazione andrà adeguata, come marca Corte di cassazione 14034/2005, ad un parametro di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale. A conti fatti, perciò, la risoluzione del contratto di locazione a uso commerciale per mancato pagamento di canoni e/o di oneri accessori potrà conseguire solo a inadempimenti tali da romperne l'equilibrio tenuto conto della condotta complessiva del conduttore.
Peserà, dunque, anche la circostanza che l'omesso versamento dei mensili perduri dopo l'intimazione di sfratto così aggravando la violazione rispetto al momento della domanda risolutoria proposta dal locatore. Inevitabile, pertanto, nella vicenda, la risoluzione per inadempimento con pretesa di pagamento degli insoluti laddove – annota Corte di cassazione 25599/2016 – la condanna del conduttore al pagamento dei canoni da scadere sino alla riconsegna del bene e comunque dovuti a seguito della risoluzione a titolo di danni per la protratta occupazione «costituisce ampliamento della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore» che trova riscontro nell'articolo 644 del Codice di procedura civile. Ragion per cui, nell'ipotesi di convalida definitiva dello sfratto intimato per morosità potrà emettersi ingiunzione non solo per i canoni scaduti alla data di notificazione dell'intimazione, ma, se contestualmente richiesto, anche per quelli da scadere fino all'esecuzione dello sfratto.
Trattasi, prendendo in prestito le parole adoperate da Corte di cassazione 11603/2005, di una condanna «in futuro, di carattere tipico e di natura eccezionale, con la quale l'ordinamento tutela l'interesse del creditore all'ottenimento di un provvedimento nei confronti del debitore prima ancora che si verifichi l'inadempimento». Questa la logica, ampiamente motivata dal tribunale romano, che ha sorretto la condanna a trecentosessanta gradi emessa a carico della società conduttrice.

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