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Sfratto, la notifica è valida se arriva a chi dispone effettivamente dell’immobile

di Valeria Sibilio


In un pronuncia di condanna al rilascio di un immobile, l'ordine in esso contenuto ha efficacia sia nei confronti del destinatario, sia di chiunque si trovi a disporre del bene in quel momento. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza 29850 del 2018 , nella quale il caso esaminato era stato originato dall'esecuzione promossa da una Diocesi per il rilascio di un immobile, oggetto di sentenza di condanna restitutoria. A tale esecuzione si opponeva l'attuale proprietario dell'immobile, esponendo di averlo acquistato, con atto trascritto nel 2000, dall'attore nei confronti del quale si era pronunciata la condanna restitutoria. Attore che, a sua volta, aveva acquistato l'immobile in causa per usucapione ventennale accertata con sentenza del 1994 e pronunciata nei confronti degli eredi conosciuti del proprietario formale del fondo.
Il Tribunale accoglieva l'opposizione con pronuncia confermata dalla Corte di appello con cui si rilevava che il diritto dominicale era opponibile anche a chi, come l'esecutante, si limitava a far valere diritti obbligatori e non reali. La Diocesi non poteva far valere l'art. 111 cod. proc. civ., in quanto tra il precedente proprietario e l'attuale controricorrente era traslato il diritto di proprietà, e non quello controverso afferente al rapporto obbligatorio di natura personale.
Nel ricorso in Cassazione, affidato ad un motivo, la Diocesi prospettava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 1372, cod. civ., 323, 111, cod. proc. civ., poiché la corte di appello avrebbe errato nel ritenere opponibile il giudicato scaturito da un giudizio cui la deducente era rimasta estranea, mentre, al contempo, il precedente proprietario aveva fatto valere la sua titolarità dominicale per usucapione con precedente opposizione all'esecuzione definitivamente rigettata. Per cui, essendo il dante causa dell'odierno opponente, quest'ultimo non avrebbe potuto riproporre la medesima questione.
Preliminarmente la Cassazione ha rilevato d'ufficio, con effetti complessivamente assorbenti, l'improponibilità dell'originaria domanda dell'odierno controricorrente, con conseguente cassazione senza rinvio della decisione, in quanto priva di una specifica statuizione, sul punto, da parte dei giudici di merito che avrebbe imposto, altrimenti, una censura.
Il terzo legittimato all'opposizione ordinaria ai sensi dell'art. 404, primo comma, cod. proc. civ., non può proporre opposizione all'esecuzione promossa sulla base di un titolo giudiziale formatosi tra le parti, salvo sostenere che quanto stabilito dal predetto titolo sia stato soddisfatto oppure sia stato modificato da vicende successive per le quali non vi è più nulla da eseguire, nel qual caso deve ritenersi legittimato. Il terzo può opporsi solo qualora l'esecuzione del titolo si estenda al di fuori dell'oggetto previsto nella statuizione giudiziale. Nel caso esaminato, l'attuale controricorrente si è opposto all'esecuzione fondata su titolo di rilascio per risoluzione di comodato, formatosi tra la Diocesi e il precedente proprietario, diretto a ottenere la disponibilità del bene relativamente al quale l'opponente ha invocato, quale diritto incompatibile, la proprietà acquisita, antecedentemente alla formazione del titolo esecutivo, dal precedente proprietario stesso. Nell'esecuzione per consegna o rilascio vi è una normale coincidenza tra il bene indicato nel titolo e il bene assoggettato all'esecuzione. Pertanto, mentre nell'espropriazione forzata la direzione dell'azione esecutiva è prettamente soggettiva in quanto occorre specificare mediante il pignoramento l'oggetto dell'azione stessa, nell'esecuzione in forma specifica, invece, la direzione dell'azione è preminentemente oggettiva, in quanto il titolo indica un determinato diritto avente ad oggetto un certo bene. Scopo dell'esecuzione in forma specifica è, quindi, quello di adeguare la situazione di fatto a quella giuridica consacrata nel titolo, immettendo l'avente diritto, nell'ipotesi, nel possesso o nella detenzione della cosa.
Quanto sopra spiega perché l'ordine contenuto in una sentenza di condanna al rilascio d'immobile è efficace nei confronti, non solo del destinatario della relativa statuizione, ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene nel momento in cui la sentenza stessa venga coattivamente eseguita. La statuizione, dunque, non può essere contrastata, ed elusa, opponendo un eventuale titolo giustificativo della disponibilità del bene in contestazione, diverso da quello preso in esame dalla pronuncia giurisdizionale, mentre il possessore o detentore, qualora ritenga lesi i suoi diritti dal provvedimento di rilascio, può provvedere alla loro tutela mediante l'opposizione di terzo, salva sempre un'autonoma azione di accertamento.
L'opposizione di terzo ordinaria ex art. 404, cod. proc. civ. è un mezzo d'impugnazione straordinario, dato anche riguardo a una sentenza divenuta definitiva, tendente a rendere inopponibile una statuizione resa tra altri di per sé inidonea a pregiudicare il terzo, stante la portata del giudicato sostanziale tra le sole parti del giudizio, i loro eredi e aventi causa quanto al diritto controverso. L'opposizione all'esecuzione, diretta o di terzo, è invece un rimedio contro gli errori concernenti l'esecuzione, e non contro quelli inerenti al titolo, così che l'opponente non potrà servirsene per contestare il contenuto del titolo giudiziale, posto che, altrimenti, l'opposizione in parola finirebbe col trasformarsi in un rimedio impugnatorio, in contrasto sia con la sua funzione, sia col principio generale dell'onere del gravame, secondo cui le opposizioni esecutive non possono utilizzarsi per far valere pretese criticità riferibili alla pronuncia azionata, in quanto, in caso contrario, si declinerebbero come illogica sovrapposizione ai mezzi d'impugnazione. Ecco perché nell'esecuzione per consegna o rilascio, dove l'opponente lamenti una lesione della sua situazione soggettiva che gli deriva non già da un errore sorto nel procedimento esecutivo, bensì direttamente dalla sentenza che ha accertato una situazione giuridica soggettiva incompatibile con quella da lui vantata, egli non può proporre l'opposizione all'esecuzione, ma deve invece impugnare il provvedimento stesso con l'opposizione di terzo ordinaria. La fattispecie in esame ha suggerito la precisazione che l'incompatibilità del diritto tutelabile con l'opposizione di terzo ordinaria deve ritenersi estesa ai profili fattuali, che siano giuridicamente rilevanti. In altri termini, può trattarsi non solo di un'incompatibilità logica tra la situazione giuridica soggettiva invocata e quella cristallizzata nel titolo, bensì anche, nei termini detti, di un'incompatibilità fattuale.
Nel caso oggetto del ricorso, il preteso proprietario avrebbe potuto e dovuto proporre opposizione di terzo ordinaria, senza preclusioni temporali e con ogni possibile tutela anche sospensiva ove necessario, nel correlativo contraddittorio necessario esteso a tutte le parti coinvolte nel processo definito dalla pronuncia oggetto della pretesa di revoca, adducendo l'incompatibilità di fatto, giuridicamente rilevante, tra il godimento dell'immobile cui era legittimato dal proprio affermato diritto dominicale e l'ordine di rilascio fondato sulla risoluzione del comodato, come tale logicamente non incompatibile, di per sé, con la proprietà di terzi, posto che comodante può essere anche chi proprietario non è.
L'ordine contenuto in una pronuncia di condanna al rilascio d'immobile spiega efficacia nei confronti, non solo del destinatario della relativa statuizione, ma anche di chiunque si trovi a disporre del bene nel momento in cui la pronuncia stessa venga coattivamente eseguita, mentre il terzo che, come il proprietario possessore del bene, deduca un'incompatibilità fattuale giuridicamente rilevante con la statuizione contenuta nel provvedimento di rilascio, può richiedere la correlativa tutela non proponendo opposizione all'esecuzione, bensì mediante specifica opposizione.
La Suprema Corte, pronunciando sul ricorso, ha, perciò, cassato senza rinvio la decisione impugnata, compensando le spese dell'intero giudizio.

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