Gestione Affitti

Suocero contro nuora separata, la casa in comodato va riconsegnata

di Valeria Sibilio


Le cause di separazione, al netto delle questioni patrimoniali ed affettive, talvolta estendono la propria influenza anche nell'ambito dell'universo condominiale. Lo ha dimostrato l'ordinanza 16304 del 2018 nella quale la Cassazione ha esaminato un caso i cui protagonisti erano una coppia di coniugi e il padre di uno di loro. Quest'ultimo, con ricorso ai sensi degli artt. 447 bis e 700 cod. proc. civ., aveva chiesto che fosse ordinato alla ex nuora l'immediato rilascio dell'unità immobiliare già concessa in comodato al proprio figlio, a suo tempo coniugato con la convenuta e al quale aveva revocato l'uso del detto immobile con lettera del 19 maggio 2005, chiedendone la liberazione entro e non oltre l'aprile 2006.
Il ricorrente rappresentò che aveva concluso con la resistente una scrittura in data 8 maggio 2006, con la quale quest'ultima si era impegnata a rilasciare sollecitamente l'immobile in questione a fronte della corresponsione, da parte sua, della somma di euro 184.000,00. Tale impegno, per la data del 15 settembre 2007, era stato ribadito nel contesto del procedimento di divorzio e trasfuso nella relativa sentenza. Con il figlio, la nuora ed una terza persona, il ricorrente aveva acquistato un immobile, nella medesima città, con l'obiettivo di ristrutturarlo e di rivendere le tre mansarde così ricavate. Il legale della resistente aveva proposto che quest'ultima avrebbe liberato l'immobile dal 1° maggio 2007- termine successivamente non rispettato - purché le fosse stato consentito di trattenere gli importi di euro 51.433,33 e di euro 52.233,32, derivanti dalla vendita di una di dette mansarde e spettanti rispettivamente al ricorrente ed alla terza persona, da detrarre sulla somma di euro 184.000,00, fermo restando il termine del 15 settembre 2007 per il versamento del residuo. Il 5 settembre 2007 il ricorrente aveva depositato, presso il suo legale, un assegno circolare di euro 80.324,00, dando specifico mandato di consegnarlo alla resistente contestualmente alla consegna delle chiavi dell'unità dalla stessa occupata entro il 15 settembre 2007 e di restituirlo nel caso di mancata detta consegna entro la data indicata.
La resistente, non avendo rilasciato tale immobile né consegnato l'importo di euro 51.433,33, costituente la quota parte della somma ricavata dalla vendita della mansarda, si costituiva e rappresentava di avere promosso, nei confronti del ricorrente e dell'ex-marito, un autonomo processo, nell'ambito del quale, previo accertamento della legittimità della detenzione dell'immobile in questione, aveva chiesto la condanna in solido dei convenuti al pagamento della somma di euro 132.557,00, costituente la differenza tra l'importo di euro 184.000,00 e quello di euro 51.433,00. Chiedeva, inoltre, la chiamata in causa dell'ex-marito ribadendo le domande già precedentemente proposte.
Le due cause sono state riunite. In quella iniziata da ultimo si costituivano i convenuti padre e figlio. In particolare, il precedentemente ricorrente riproponeva le domande avanzate, chiedendo la condanna della ex-nuora al risarcimento dei danni cagionati dall'occupazione dell'immobile, indicati nell'importo di euro 4.000,00 in ragione di ogni mensilità. Il Tribunale condannava l'attrice al pagamento, in favore dell'ex-suocero, delle somme di euro 51.433,33 e di euro 28.000,00, oltre interessi nonché al rimborso, in favore del predetto, dei due terzi delle spese processuali di quel grado. In motivazione il Giudice, premesse alcune considerazioni di natura processuale, negando la ravvisabilità di un collegamento funzionale tra la scrittura privata perfezionata tra le parti da un lato, ed il tenore degli accordi concernenti le condizioni di divorzio dall'altro, con la conseguente impossibilità dell'attrice di formulare un'eccezione ex art. 1460 cod. civ. nei confronti dell'ex-suocero e fondata sul mancato rispetto delle intese concluse tra i due coniugi in occasione dello scioglimento del matrimonio.
La resistente, inoltre, diede conto del tenore degli accordi via via intercorsi tra le parti, sia con la citata scrittura che con la sentenza di divorzio, sia con la successiva corrispondenza tra le parti, in parte modificativa delle intese originarie, ed evidenziò che l'ex-suocero aveva provveduto, in data 5 settembre 2007, a depositare presso un legale un assegno circolare di euro 80.324,00 a disposizione dell'attrice, a condizione che quest'ultima rilasciasse l'unità immobiliare detenuta entro il 15 dello stesso mese.
Il Giudice, sottolineando l'adempimento, da parte dell'ex-suocero, mediante tale deposito, dell'obbligazione sullo stesso gravante e l'inadempimento dell'attrice che non aveva rilasciato l'immobile entro il termine indicato nelle condizioni di divorzio, riteneva che ciò comportasse il rigetto della domanda avanzata dalla predetta e l'accoglimento, invece, delle contrapposte domande formulate dall'ex-suocero nei confronti della nuora. Contro la sentenza del Tribunale, l'attrice proponeva gravame cui resistette il solo ex-suocero, mentre il figlio di quest'ultimo rimaneva contumace.
La Corte di Appello, con sentenza depositata in data 19 febbraio 2014, in parziale accoglimento dell'appello ed in riforma della sentenza impugnata, condannava l'attrice a pagare, in favore dell'ex-suocero, a titolo di risarcimento per il rilascio dell'immobile, la complessiva somma di euro 9.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma anno per anno rivalutata dal 14 febbraio 2008 fino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, ed interessi successivi sulla somma così complessivamente determinata. La Corte rigettava per il resto l'appello principale e confermava la sentenza in ogni sua ulteriore statuizione, condannando l'attrice a rimborsare all'appellato i quattro quinti delle spese da quest'ultimo sostenute per quel grado del giudizio. Contro la sentenza della Corte di merito, l'attrice proponeva ricorso per cassazione, basato su tre motivi. L'attore resisteva con controricorso contenente pure ricorso incidentale condizionato, basato su sei motivi, mentre il figlio di quest'ultimo non svolgeva attività difensiva.
Con il primo motivo, la ricorrente deduceva la nullità della sentenza, impugnata, assumendo che la Corte di appello avrebbe ritenuto che l'ex-suocero avesse dichiarato di avvalersi della clausola risolutiva e pressa contenuta al IV punto della scrittura dell'8 maggio 2006 e che questi non fosse più tenuto a corrispondere alcun importo, in favore dell'attrice, in conseguenza dell'inadempimento di quest'ultima per il mancato rispetto del termine per il rilascio dell'immobile.
L'attrice sosteneva di aver già censurato la sentenza di primo grado, ritenendo di aver trattenuto legittimamente l'immobile sino al 16 marzo 2008 - data dell'avvenuto rilascio -, in quanto l'ex-suocero si era reso inadempiente rispetto all'obbligazione di mantenere il deposito fiduciario della somma a lei dovuta fino al 5 dicembre 2007 ed assumeva che, nonostante ella avesse rilasciato l'immobile in data 16 marzo 2008 e, quindi, ben oltre la data del 15 settembre 2007, l'attore era tenuto comunque a pagarle il corrispettivo pattuito in quanto egli non aveva inteso avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nella scrittura dell'8 maggio 2006.
La ricorrente deduceva che, affermando che l'impegno assunto nel contesto delle condizioni di divorzio consensualmente concordate nella parte in cui involgeva anche il proprio impegno a dismettere l'unità immobiliare all'epoca occupata entro un termine specificamente indicato, assumeva la valenza di un'obbligazione in favore dell'ex-suocero, il quale era pertanto titolato attivamente a pretenderne il puntuale adempimento, sicché, scaduto tale termine, era venuto meno l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere l'importo che si poneva in termini di corrispettività rispetto al rilascio dell'immobile, rilascio poi avvenuto solo nel marzo 2008. La Corte di merito avrebbe implicitamente ritenuto risolto l'accordo dell'8 maggio 2006 per inadempimento dell'attrice. Ad avviso di quest'ultima, la sentenza sarebbe sul punto errata perché l'obbligo per l'ex-suocero di corrispondere l'importo pattuito sarebbe venuto meno solo se questi avesse manifestato validamente di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nella richiamata scrittura e se avesse proposto domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento dell'attrice.
La ricorrente rappresentava che l'attore non aveva mai manifestato l'intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa e aveva proposto, in via riconvenzionale, domanda di risoluzione per inadempimento della ricorrente nell'ambito del giudizio da questa promosso, ma, come affermato dal Tribunale, tale richiesta non era stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni. La sentenza di primo grado non sarebbe stata impugnata nella parte in cui ha dichiarato rinunciata la domanda di risoluzione sicché sul punto si sarebbe formato il giudicato. La ricorrente sosteneva, quindi, che la Corte di merito, avrebbe di fatto ritenuto risolto di diritto il contratto, pur in difetto della relativa domanda, ed evidenziava che non risultando, nel caso all'esame, l'essenzialità del termine, la risoluzione del contratto di norma dovrebbe conseguire all'esito dell'assolvimento, da parte del creditore, dell'onere di comunicazione in argomento al debitore inadempiente, onere nella specie non assolto. Pertanto, ad avviso della ricorrente, l'ex-suocero era ancora obbligato a corrisponderle l'importo di euro 132.557,00, decurtato l'importo di euro 51.433,33 già nelle sue mani, oltre rivalutazione ed interessi. Un motivo apparso, per la Cassazione, infondato, in quanto la Corte di merito non aveva accertato alcuna risoluzione ma soltanto ritenuto insussistente il dedotto obbligo dell'ex-suocero, valutando l'eccezione di inadempimento alla stregua della quale l'attrice avrebbe legittimamente protratto la detenzione dell'unica immobiliare, non avendo l'attore provveduto a corrispondere la somma contemplata nell'accordo.
Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe illegittima, nella parte in cui la Corte di merito l'aveva condannata al risarcimento dei danni per aver occupato l'immobile dal 15 settembre 2007 al 16 marzo 2007 e non dal 5 dicembre 2007 al 16 marzo 2008, in quanto la Corte territoriale la avrebbe erroneamente ritenuta inadempiente nel rilascio del citato immobile da un momento storico precedente al 5 dicembre 2007. Per la ricorrente, dalla lettura congiunta del punto IV dell'accordo dell'8 maggio 2006 e degli accordi in sede di divorzio, emergeva che ella avrebbe dovuto rilasciare l'immobile entro il 5 dicembre 2007. Pertanto il danno eventualmente da risarcire sarebbe quello derivante dall'illegittima occupazione a decorrere dal 5 dicembre 2007 e sino al 16 marzo 2008, per un totale di euro 5.000,00 e di aver dedotto in appello, in subordine, tali circostanze.
Motivo non accolto dagli ermellini, in quanto l'omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e non già l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell'appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc, civ., nel testo riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile. Per la Cassazione, la Corte territoriale non ha omesso di considerare il diverso termine, per il rilascio dell'immobile, prospettato dall'attrice, sulla base di una lettura congiunta della scrittura privata del maggio 2006, ma ha valutato le circostanze emerse dalle risultanze istruttorie in modo difforme da quello propugnato dalla ricorrente. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.
Con il terzo motivo, la ricorrente deduceva l'illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che ella avesse occupato l'alloggio di cui si discute in causa, confermando sul punto la sentenza di primo grado nonostante l'attrice avesse dedotto che il protrarsi dell'occupazione era legittimo, in quanto l'ex-suocero non aveva mantenuto il deposito fiduciario di euro 80.324,00 ma lo aveva dismesso nell'ultima decade del mese di settembre e, quindi, anzitempo, rendendosi così inadempiente. Anche questo motivo non è stato accolto dalla Cassazione, ribadendo le medesime argomentazioni già espresse in relazione al secondo motivo.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso principale, dichiarato assorbito l'esame del ricorso incidentale condizionato e compensato per intero tra le parti le spese del giudizio di legittimità, dando atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della sola ricorrente principale, dell'importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

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