Gestione Affitti

Affitti, la risoluzione deve essere registrata

di Cristiano Dell’Oste e Giorgio Gavelli

Registrare in ritardo la risoluzione del contratto di locazione può avere conseguenze pesanti a livello fiscale. L’ha sperimentato a proprie spese un contribuente che è stato condannato a pagare l’imposta di registro dalla Ctp di Milano (sentenza 1467/3/2018, presidente Locatelli, relatore Chiametti), anche per le mensilità in cui l’immobile era stato riconsegnato dall’inquilino.

Il caso riguarda un contratto di locazione tra una persona fisica e una società (formula «6+6»), registrato il 28 maggio 2008. Nel corso del rapporto si verificano quattro “passaggi” fondamentali:

il 28 ottobre 2010 l’inquilino comunica al locatore la disdetta «a mezzo missiva», come si legge nella pr onuncia, sfruttando la facoltà di recesso anticipato;

il 31 marzo 2011 l’inquilino libera l’immobile;

il 21 febbraio 2013 il locatore versa l’imposta di registro per la risoluzione anticipata con modello F23 (predecessore dell’F24 Elide attualmente in uso);

il 29 novembre 2013 le Entrate notificano al locatore un avviso di liquidazione con cui chiedono il pagamento dell’imposta di registro per l’annualità 2011.

Il contribuente fa ricorso, sostenendo che il contratto si era già risolto con la disdetta e il rilascio e che, quindi, dal 28 maggio 2011 non era iniziata alcuna nuova annualità contrattuale.

Il giudice, però, dà ragione al Fisco, condannando tra l’altro il ricorrente a pagare le spese di lite. In realtà, le ragioni alla base della decisione sono puramente procedurali, ma la sentenza contiene anche un interessante obiter dictum sulla questione di merito. Vediamoli entrambi.

Sotto il profilo procedurale, il ricorso viene ritenuto inammissibile, perché il contribuente non ha impugnato l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, ma solamente la cartella esattoriale che ne è conseguita. Senonché, la cartella può essere impugnata solo per vizi propri. Mentre la mancata contestazione dell’avviso di liquidazione lo rende irretrattabile, come insegna la Cassazione (17617/2016).

Rispetto al merito della vicenda, la Commissione milanese considera irrilevante –agli occhi del Fisco – il fatto che il contratto di locazione si sia risolto tramite lo scambio di una missiva, anche se «debitamente firmato tra locatore e locatario», in quanto privo «di data certa».

La sentenza non precisa se nel caso specifico si sia trattato di una lettera comune o di una raccomandata con avviso di ricevimento. La mancanza di data certa, tuttavia, fa propendere per la prima ipotesi, da cui deriva che la tardiva registrazione dello scioglimento anticipato diventa il momento determinante a partire dal quale la cessazione acquista efficacia nei confronti del Fisco (anche ai fini reddituali). È vero, infatti, che laddove «si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 del Codice civile), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (articolo 1454)» il riferimento al reddito locativo non è più adeguato e si torna alla rendita catastale (Corte costituzionale, sentenza 362/2000). Ma la prova di tale risoluzione va fornita dal contribuente, il quale non può pretendere di essere creduto “sulla parola”, tanto più che il processo tributario è, essenzialmente, un procedimento documentale.

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