Gestione Affitti

«Bollino» sui contratti necessario solo sulle nuove intese

di Cristiano Dell’Oste

Per applicare correttamente un contratto di locazione a canone concordato, il punto di partenza sono sempre le intese territoriali tra le sigle della proprietà edilizia e i sindacati inquilini. Il Dm delle Infrastrutture del 16 gennaio 2017 (emanato di concerto con l’Economia) e il recente interpello 954-119/2018 delle Entrate impongono però di fare attenzione alla “bollinatura”.

Salvi i vecchi accordi

Negli ultimi mesi sono stati rinnovati molti accordi locali stipulati sotto la vigenza del vecchio decreto ministeriale (il Dm 30 dicembre 2002). Ma finché non c’è l’adozione «restano in vigore, in ogni loro parte, gli accordi precedenti». Lo afferma lo stesso decreto del 2017. Analogo ragionamento vale per i contratti-tipo allegati ai due decreti.

L’attestazione

Il decreto del 2017 ricorda – come già faceva quello del 2002 – che le parti, per la stipula dei contratti di locazione, possono farsi assistere dalle associazioni della proprietà e degli inquilini. Aggiunge, però, che le intese locali – per i contratti “non assistiti”, cioè stipulati da locatori e inquilini con il fai-da-te – definiscono le modalità con cui almeno una organizzazione firmataria dell’accordo attesta che il singolo contratto è conforme all’intesa «anche con riguardo alle agevolazioni fiscali». In pratica, si tratta di attestare, sulla base delle informazioni fornite dalle parti, che il canone rientra nei limiti fissati dall’intesa e che le clausole rispettano la normativa. L’obiettivo è evitare che qualcuno faccia il furbo applicando un canone più alto di quello consentito e sfrutti gli sconti Imu e Tasi (quello nazionale del 25% eventualmente abbinato a quelli locali) e la cedolare secca al 10% o le deduzioni del 30% su Irpef e registro.

I vecchi accordi

Dove si applicano ancora le intese locali conformi al decreto del 2002, per i contratti “non assistiti” l’attestazione non è necessaria. Anzi, sottolineano dal Sicet (sindacato inquilini casa e territorio), non è neppure configurabile, essendo un istituto introdotto dal Dm del 2017. Al massimo, alcune intese offrono alle parti la chance «di ottenere una idonea documentazione che confermi la rispondenza del contratto all’accordo territoriale e alla normativa vigente», ricordano dall’altro sindacato inquilini, il Sunia. Tuttavia, anche in queste città, come precisano da Confedilizia, può capitare che il Comune colleghi «l’applicazione di particolari aliquote Imu-Tasi a forme variamente definite di intervento di una o più associazioni firmatarie dell’accordo: assistenza, timbro e così via».
Ci sono anche situazioni intermedie. Ad esempio, a Reggio Calabria a giugno dello scorso anno è stato firmato un protocollo – promosso dalla locale Uppi – per integrare l’accordo del 2015, con il quale le associazioni di proprietari e inquilini si sono dette disponibili a eseguire l’attestazione, come prevista dal Dm del 2017, pur in vigenza di una intesa locale non ancora rinnovata. Al protocollo lo scorso 13 febbraio si sono aggiunte le firme di Confedilizia e Sunia.

Le nuove intese

Il discorso cambia nelle città in cui ci sono intese locali conformi al Dm del 2017. A febbraio il ministero delle Infrastrutture (lettera U.0001380.06-02-2018), rispondendo ai quesiti di Confabitare ( si veda il Quotidiano del Sole 24 Ore - Condominio del 9 febbraio ), ha affermato «l’obbligo per i contraenti di acquisire l’attestazione, anche per poter dimostrare all’agenzia delle Entrate, in caso di verifica fiscale», la correttezza delle agevolazioni utilizzate.
La scorsa settimana le Entrate (interpello 954-119/2018, si veda il Quotidiano Condominio del Sole 24 Ore del 6 aprile 2018 ), in risposta a un quesito del Sunia di Firenze, hanno ribadito che per i contratti “non assistiti” l’attestazione «costituisce elemento necessario ai fini del riconoscimento delle agevolazioni» relative ai tributi gestiti dall’Agenzia. Inoltre, le Entrate hanno aggiunto che l’attestazione può (e non deve) essere allegata al contratto e che, in questo caso, è esente da imposta di registro e di bollo.
Vanno fatte, però, due precisazioni. Per le agevolazioni relative a Imu e Tasi, i Comuni potrebbero aver imposto forme di bollinatura ad hoc o richiedere il deposito di moduli o dichiarazioni del locatore.
Inoltre, alcuni degli accordi locali rinnovati alla luce del decreto del 2017 potrebbero aver fatto scelte almeno in parte disallineate. In alcune città, come ad Assisi, è richiesta l’attestazione obbligatoria con coinvolgimento di due associazioni. In altre, invece, l’attestazione non è sempre obbligatoria. È il caso, ad esempio, di Torino, dove chi stipula un contratto a canone concordato con il fai-da-te è tenuto all’attestazione solo in certi casi, mentre in altri può autocertificare di aver rispettato tutti i requisiti, inoltrando un modulo specifico al Comune.

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