Gestione Affitti

Riconsegna della casa affittata: l’inquilino paga tutti i danni, anche con presunzioni

di Selene Pascasi

Scaduto il contratto di locazione, l'inquilino deve restituire l'immobile nelle stesse condizioni in cui gli è stato consegnato, salvo il deterioramento o il consumo legati all'utilizzo pattuito. Diversamente, sarà tenuto a risarcire il proprietario dei danni arrecati al bene la cui prova, però, potrà essere fornita anche mediante presunzioni. Lo afferma la terza sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6387 depositata il 15 marzo 2018 (relatore Luigi Alessandro Scarano) . Sollecita l'intervento dei giudici di legittimità, la domanda avanzata dagli usufruttuari di uno stabile, tesa ad ottenere il pagamento di una somma a titolo di risarcimento danni da parte della società che lo aveva condotto in locazione per circa quarantacinque anni. Secondo quanto denunciato, la ditta aveva cagionato – per prolungata cattiva manutenzione – ingenti danni ai beni locati. Il Tribunale accoglie la richiesta ma la Corte di Appello, chiamata a pronunciarsi in sede di impugnazione, ribalta la soluzione adottata in primo grado e nega il risarcimento agli usufruttuari che, come prevedibile, ricorrono per Cassazione. Tra le doglianze, il fatto che il collegio del gravame avrebbe mancato di considerare che il danno – inteso come diminuzione patrimoniale dell'immobile – si determina in capo al locatore al momento della riconsegna, a nulla rilevando l'eventuale successiva vendita o concessione in locazione del bene stesso ad altri. Peraltro, si legge in ricorso, era fuorviante pensare che la ricostruzione dei locali potesse aver eliso il danno e ridotto l'obbligazione a carico del danneggiante, trattandosi di circostanza sopportata da un terzo e correlata ad un diverso rapporto giuridico, successivo alla produzione dell'evento. E comunque, concludono i ricorrenti, la ristrutturazione in questione riguardava solo una porzione dell'edificio. Motivi accolti dalla Suprema Corte che cassa la sentenza e rinvia per una nuova valutazione ai giudici di merito. In primo luogo, precisa, occorre aderire al principio, ormai consolidato, per cui chi agisce per il risarcimento del danno potrà limitarsi – per vedere accolta la domanda – ad allegare la fonte negoziale o legale del suo diritto e l'altrui inadempimento, spettando, invece, al conduttore, la prova (ben più ardua) del fatto estintivo della propria obbligazione. Egli, in altre parole, sarà salvo da ogni addebito solo ove dimostri il fatto impeditivo o modificativo che abbia reso impossibile, per causa a lui non imputabile, l'esatto assolvimento dei propri doveri o, in alternativa, il fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento. Adempimento che, in materia di locazione immobiliare, coincide con la restituzione della cosa locata nel medesimo stato in cui sia stata ricevuta, «salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della stessa in conformità del contratto».
Tanto premesso, la Cassazione – richiamando il precedente 10527/2011 – sottolinea un ulteriore, fondamentale, aspetto: il locatore può dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa anche «per presunzioni, che costituiscono un mezzo di prova di rango non inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non più debole della prova diretta o rappresentativa, ben potendo le presunzioni assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice». Ecco che, nella vicenda, ben avrebbe potuto la Corte di Appello ritenere provata la domanda degli usufruttuari, giacché incardinata su presunzioni fondate su un decorso di eventi almeno in “apparenza” tipico e, comunque, non travolto da idonea prova contraria. Ancora, i giudici avevano accolto le ragioni della società conduttrice, senza accertare se lo stato di deterioramento del bene fosse, o meno, compatibile con l'uso ultra quarantennale. E, lungi dal soffermarsi sul punto, avevano dedotto l'impossibilità che la ristrutturazione potesse esser stata influenzata dalle condizioni dell'edificio. Valutazioni, quelle mancanti, strettamente vertenti sul merito della questione e, quindi, estranee all'ambito di controllo della Cassazione, limitato al vaglio della correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito nella sentenza impugnata. Di qui, la necessità del rinvio ad una diversa composizione della Corte di Appello, chiamata ad attenersi ai principi enunciati a Piazza Cavour.

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