Gestione Affitti

SAffitti, sì ai canoni «a scaletta» se previsti nel contratto

di Augusto Cirla

I canoni “a scaletta” - vale a dire i canoni di locazione che crescono nel tempo durante il contratto di affitto - sono legittimi nelle locazioni di immobili adibiti a uso diverso da quello di abitazione. Ma gli aumenti devono essere predeterminati (e giustificati) nel contratto. Sono questi i principi affermati dalle recenti pronunce dei giudici sui canoni crescenti (per la scheda riassuntiva cliccare qui ).

La disciplina

In via generale, il canone nelle locazioni di immobili a uso diverso dall’abitazione può essere liberamente contrattato: il locatore, nell’indicare la misura del corrispettivo, è vincolato solo al rispetto delle normali leggi di mercato e della concorrenza, che di fatto fissano i limiti dell’ammontare annuo dei canoni per immobili con caratteristiche simili a quelle dell’immobile da affittare e che si trovano nella stessa zona. La legge (articolo 32 della legge 392/1978) prevede che il canone stabilito inizialmente possa essere poi «aggiornato», ma solo per neutralizzare l’incidenza della perdita del potere di acquisto della moneta.

Quindi, le pattuizioni di veri e propri aumenti del canone si devono ritenere nulle in quanto dirette ad attribuire al locatore un canone più elevato senza rispettare i limiti posti dalla legge; e il conduttore non può, sia al momento della stipula del contratto, sia nel corso del rapporto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti (Cassazione, sentenza 8669 del 4 aprile 2017). A salvaguardia di questo divieto, l’articolo 79 della legge 392/1978 colpisce con la nullità ogni patto diretto a pretendere un canone maggiore e, al contempo, conferma l’immodificabilità del corrispettivo della locazione nel corso del rapporto, se non per aggiornarlo all’inflazione.

I canoni «a scaletta»

Le disposizioni, quindi, non si pronunciano esplicitamente sulla legittimità dei canoni che aumentano in modo graduale. A favore si è espressa però la giurisprudenza, che ha chiarito come le norme non ostacolino la legittimità della clausola del contratto che contempla aumenti graduali del canone, se questa necessità scaturisce da determinati fatti o vicende che hanno avuto incidenza sulla funzione economica e sull’equilibrio dell’intero rapporto (Cassazione, sentenza 15348 del 21 giugno 2017). Condizione imprescindibile per l’ammissibilità di una modifica quantitativa del corrispettivo inizialmente pattuito è che l’aumento a scaletta sia espressamente riferibile a elementi oggettivi predeterminati e idonei, come tali, a influire sull’equilibrio economico del rapporto contrattuale.

Nella prassi è frequente il ricorso ad accordi che contemplino successivi aumenti del canone in modo da giungere poi, dopo un certo tempo, a una somma finale. Non si rinvengono infatti, nelle norme vigenti, limitazioni alla libertà delle parti di negoziare la misura del canone in maniera variabile in aumento nei vari anni, anche in considerazione del fatto che il locatore potrebbe altrimenti chiedere sin dall’inizio del rapporto il canone nella misura massima invece che frazionarlo.

Lo stesso conduttore, proprio in un’ottica di economicità aziendale, può ritenere per lui più conveniente una graduazione progressiva dell’entità del canone. Questa situazione si può verificare, ad esempio, nel caso in cui il conduttore sia impreparato a far fronte da subito alle pretese economiche avanzate dal locatore o nel caso in cui sia tenuto ad accollarsi le spese di ristrutturazione del bene concesso in locazione.

I presupposti

Perché l’accordo sui canoni a scaletta non sia travolto da nullità sono però necessari alcuni presupposti. Intanto, è fondamentale determinare dall’inizio del rapporto di locazione la misura finale del canone a cui si giungerà con aumenti frazionati per un determinato periodo. Poi, nel contratto vanno indicati i motivi che giustificano la scelta, come, ad esempio, la necessità di eseguire sull’immobile opere di manutenzione straordinaria con onere a carico del conduttore: in questo caso, peraltro, la Cassazione ha chiarito - sciogliendo i dubbi esistenti - che il locatore è tenuto a fatturare l’intero canone in origine pattuito, mentre il conduttore deve fatturare il vantaggio recato al locatore per i lavori di ristrutturazione eseguiti (Cassazione, ordinanza 28725 del 30 novembre 2017).

Si deve trattare di fattori indipendenti dalle variazioni annue del potere d’acquisto della moneta (ma comunque gli aumenti che derivano da queste ultime si possono continuare a pretendere) e che permettano di escludere l’intento simulato del locatore di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria (Cassazione, sentenza 6474 del 14 marzo 2017).

I contraenti, quindi, sono liberi di fissare la misura del canone, stabilendo anche modifiche purché in via preventiva. Resta il divieto di prevedere aumenti non predeterminati nel contratto e non ancorati al mutato potere d’acquisto della moneta, destinati ad avere una entità non prevedibile al momento della stipula del contratto.

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