Gestione Affitti

La Corte costituzionale salva i conduttori che avevano pagato i micro affitti

di Rosario Dolce

Per un dato periodo temporale, in forza dell'art. 3, comma 8, lettera c, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 recante “Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale”, il conduttore che avesse consentito l'emersione di un contratto di locazione non registrato presso l'Agenzia delle Entrate, sarebbe stato autorizzato a corrispondere il corrispettivo locatizio nella minor «misura pari al triplo della rendita catastale», al posto del canone che aveva, precedentemente, concordato con il locatore.
Ciò premesso, nel corso di un giudizio relativo a contratto di locazione tardivamente registrato (su iniziativa del conduttore), il locatore aveva proposto domanda di condanna nei confronti del conduttore al pagamento della differenza tra il canone pattuito e il canone autoridottosi (in forza della predetta disposizione normativa), laddove, frattanto, dichiarato illegittimo da parte della Corte Costituzionale con le Sentenze di cui al nr 50 del 2014 e al nr 169 del 2015 (in questo ultimo caso, con riferimento alla successiva legge n. 80 del 2014).
Orbene, nelle more di tale giudizio (incardinato innanzi al Tribunale di Palermo) il Legislatore è ritornato sull'argomento “coniando” l'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», con il quale ha sostituito l'articolo 13, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili ad uso abitativo).
La norma, sostanzialmente, ha rimesso in bonis i conduttori, disponendo, al riguardo, che gli stessi laddove «… hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennità di occupazione maturata, su base annua è pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato».
Ora, l'adito Tribunale ordinario (di Palermo), ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale.
Secondo il giudice siciliano detta norma si porrebbe, in primo luogo, in contrasto con l'art. 136 Costituzione, per elusione del giudicato di cui alle Sentenza nr 50 del 2014 e nr 169 del 2015 emesse dalla Corte Costituzionale (con le quali si dichiarava, sostanzialmente, la illegittimità costituzionale delle disposizioni di cui all'anzidetto del d.lgs. n. 23 del 2011 e alla successiva legge n. 80 del 2014).
L'altra violazione di norme di rango costituzionale è stata, invece, ritenuta sussistere con relazione all'articolo 3, e tanto sia per il profilo della sua riferibilità solo alle locazioni abitative (e non anche a quelle commerciali), sia in ragione del «duplice contrapposto effetto, al contempo, “premiante” per i conduttori e “punitivo” per i locatori».
Infine, l'ultimo vulnus recato dalla disposizione legislativa in disamina è stato ritenuto riconducibile alle previsioni di cui all'articolo 42 Costituzione, in quanto, «consentendo ai conduttori di continuare a beneficiare dell'applicazione del contratto catastale», si imporrebbe un «apprezzabile sacrificio delle facoltà insite nel diritto domenicale del proprietario» (locatore), in assenza di una funzione sociale che lo giustifichi.
Con Ordinanza nr 238 del 27 ottobre 2017 il Giudice delle Leggi ha però respinto la sollevata questione di incostituzionalità.
Secondo il nostro massimo organo di garanzia costituzionale l'art. 13, comma 5, della legge n. 431 del 1998, come novellato dall'art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015 in esame, «non ripristina (né ridefinisce il contenuto relativo a durata e corrispettivo) dei pregressi contratti non registrati, la cui convalida, per effetto delle richiamate disposizioni del 2011 e del 2014, è venuta meno, ex tunc, in conseguenza delle correlative declaratorie di illegittimità costituzionale».
La norma in questione, viceversa, prevede «una predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o della misura dell'indennizzo dovuto dal conduttore (Corte di cassazione, sezione terza, sentenza 13 dicembre 2016, n. 25503), in ragione della occupazione illegittima del bene locato, stante la nullità del contratto e, dunque l'assenza di suoi effetti ab origine».
La disciplina inerente al pagamento dell'importo annuo «pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato», si collega, pertanto, alla pregressa situazione di fatto relativa alla illegittima detenzione del bene immobile «in forza di titolo nullo e privo di effetti». Non a caso, l'art. 13 legge 431/1998 non menziona l'adeguamento ISTAT dell'importo da versare, proprio perché non si tratta di un canone locatizio.
Alla stregua di quanto sopra, i Giudici delle leggi hanno dichiarato che la norma impugnata non è irragionevole, né, in quanto tale, si palesa in contrasto con i precetti costituzionali additati da parte del Tribunale di Palermo: siccome, tale nuova disposizione, da una parte, è «attinente al profilo dell'arricchimento indebito del conduttore, cui è coerente il pagamento di una indennità di occupazione e non di un canone di locazione, non affatto dovuto», e, dall'altra parte, afferisce precipuamente quella particolare “situazione di diritto” sui cui il conduttore aveva però riposto affidamento (fino alla data, appunto, della declaratoria di siffatta illegittimità) e che non può essere lasciata sfornita di tutela.
Il tutto, va da sé, con buona pace delle pretese formulate, nei vari tribunali italiani, da parte dei proprietari-locatori: a cui non resta, a questo punto, che prendere atto di tale “decisione” e farsene una ragione…

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