Gestione Affitti

La «tassa Airbnb» alla prova della comproprietà

di Paolo Meneghetti

L’estensione della cedolare secca alle locazioni brevi – decisa dal decreto legge 50/2017 – fa i conti con i casi (frequenti) in cui sia uno solo dei comproprietari a sottoscrivere il contratto di locazione. Le ricadute sono sia di carattere civilistico, e incidono sulla validità ed efficacia del contratto, sia di carattere fiscale (per queste ultime, si veda l’articolo a fianco).

Il Dl 50/2017 non ha solo introdotto la “tassa” per Airbnb, prevedendo l’applicabilità della cedolare secca al 21% alle locazioni brevi che comprendono anche servizi di fornitura biancheria e pulizia. La possibilità di utilizzare la tassa piatta è stata anche aperta alle sublocazioni brevi e ai redditi da concessione in godimento dell’immobile incassati dal comodatario dello stesso immobile.

L’articolo 4, comma 3, del Dl 50/2017 a ha rimosso il blocco all’accesso al regime della cedolare da parte delle sublocazioni brevi. Il blocco dipendeva dal fattto che il reddito da sublocazione non rientra tra quelli fondiari (quindi quelli che possono accedere al regime della cedolare) ma tra i redditi diversi in base all’articolo 67, comma 1 , lettera h) del Tuir, come chiaramente affermato dall’agenzia delle Entrate nella circolare 26/E del 2011, par. 1.2.

Dal 1° giugno scorso, invece, anche le sublocazioni possono beneficiare della cedolare, se i contratti si presentano nelle forme dell’articolo 4, comma 1, del Dl 50/2017, cioè se hanno durata non superiore a 30 giorni. Dal testo dell’articolo, sembrerebbe che le sublocazioni diverse, cioè quelle “lunghe”, non possano accedere alla cedolare. Sempre che le Entrate non diano indicazioni differenti.

Il blocco all’utilizzo della cedolare secca è caduto anche per i casi di concessione dell’immobile in godimento a terzi da parte del comodatario. In passato il reddito ritratto dal comodatario, secondo una controversa tesi delle Entrate, (risoluzione 381/E/2008), doveva essere dichiarato dal proprietario/comodante; ora invece sembra che sia il comodatario, in quanto sottoscrittore del contratto di concessione dell’immobile in “godimento breve”, a optare per (e pagare) la cedolare secca. A logica, lo stesso dovrebbe accadere in caso di opzione non conveniente o impossibile (ad esempio perché l’inquilino è una società).

Resta da capire come comportarsi quando il contratto è lungo e il comodatario non può optare per la cedolare. In questi casi si torna alla tesi affermata con la risoluzione 381/E e il proprietario deve dichiarare il reddito? Il tenore letterale della norma va in questa direzione, ma è chiaro che l’applicazione non sarebbe semplicissima.

Questi dubbi andranno “raccordati” con le situazioni – frequenti nella pratica – in cui il contratto di locazione di un immobile in comproprietà viene sottoscritto da un solo comproprietario. Sul fronte civilistico si contrapponevano storicamente due posizioni. Da una parte, c’era chi sosteneva che il comproprietario che sottoscrive il contratto agisce in virtù di un mandato senza rappresentanza; quindi il proprietario non sottoscrittore, in quanto mandante, può revocare il mandato ed esercitare (in base all’articolo 1705, comma 2, del Codice civile) ogni diritto di credito derivante dal rapporto negoziale, nonché chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni nei confronti del terzo contraente. Secondo l’altra tesi, invece, si rientra nello schema della gestione d’affari nell’interesse comune. Quindi, la locazione di una cosa comune da parte di uno dei due proprietari svolge pienamente i suoi effetti anche quando il locatore abbia violato i limiti dei poteri che gli spettano in base all’articolo 1105 del Codice civile, essendo sufficiente per stipulare la locazione avere la disponibilità della cosa locata. Il comproprietario non sottoscrittore non detiene alcun diritto di credito per il canone non riscosso, fino a quando non ratifica l’operato dell’altro comproprietario.

La Cassazione a Sezioni unite, con la sentenza 11135/2012, si è allineata a questa seconda posizione che, in primo luogo, tutela il conduttore assegnando piena validità al contratto sottoscritto solo da un comproprietario e, in secondo luogo, tutela l’altro comproprietario poiché dal momento in cui avrà ratificato l’operato del sottoscrittore avrà diritto a riscuotere il credito che deriva dal canone.

In questa direzione è andato anche il Tribunale di Cremona che, con la sentenza del 14 febbraio 2013, ha ritenuto valido il contratto di locazione stipulato da un solo coniuge per un’azienda in comunione legale. Ciò in quanto la locazione del bene rientra tra gli atti di ordinaria amministrazione, quindi eseguibili anche da un solo proprietario (o coniuge).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©