Gestione Affitti

Affitti, il rendimento insegue la formula giusta

di Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

I nuovi affitti di abitazioni nel 2016 in molti casi non hanno neppure pareggiato la variazione dei prezzi al consumo, che l’Istat ha misurato in deflazione, a -0,1% di media annua. È vero che nei contratti “4+4” registrati alle Entrate il canone è cresciuto su base nazionale dello 0,5% rispetto al 2015 (media di 455 euro al mese). Ma osservando le singole città o le altre tipologie contrattuali balzano all’occhio diversi segni negativi.

L’impressione è quella di un mercato fragile e frammentato, in cui i proprietari hanno cercato la soluzione migliore per difendere una redditività anche minima, muovendosi tra formule contrattuali e opzioni per la cedolare, senza trascurare la variabile della morosità, che resta a livelli elevati.

In alcune grandi città i nuovi canoni liberi sono aumentati in modo evidente: +5,4% a Milano, +3,5% a Firenze e +3% a Bologna. Altre zone hanno invece sofferto, a partire da Roma – la principale piazza italiana della locazione – dove la formula “4+4” ha perso il 2,1% e il canale concordato ha lasciato sul terreno lo 0,5 per cento.

In altri centri non c’è neppure un trend univoco tra canoni liberi (in calo o stazionari) e concordati (in aumento): capita tra l’altro a Torino, Napoli e Genova.

Come orientarsi, allora, sul mercato? Il Rapporto immobiliare 2017 delle Entrate permette di ripercorrere le variabili principali.

Per chi possiede una casa in un Comune «ad alta tensione abitativa» (tutti i capoluoghi di provincia e molti centri di medie dimensioni), la prima alternativa è tra contratto libero e concordato. La scelta dipende in primis dal divario tra il canone di mercato e quello calmierato, e non è un caso che nei centri dove il canale agevolato copre almeno il 30% degli affitti i due livelli siano molto vicini (vedi i casi di Roma, Genova, Palermo, Torino e Bologna).

Molto dipende anche dalle caratteristiche del mercato locale, che in alcune città rendono interessanti gli affitti per studenti e quelli transitori. Proprio nel canale transitorio, peraltro, si è registrato nel 2016 un crollo dei canoni a Milano (-9,2%) che andrebbe meglio indagato, visto che in questa categoria le Entrate monitorano contratti con durata da uno a tre anni.

Nella decisione va valutata inoltre la variabile fiscale, perché tutti i contratti con un canone vincolato – compresi quelli transitori, dopo il chiarimento di Telefisco 2017 – hanno la cedolare secca al 10% anziché al 21%, per ora fino a fine anno (si veda l’articolo a destra). Una soluzione che va incontro anche all’inquilino, che di riflesso può vedersi ridurre l’esborso mensile.

Le opzioni contrattuali si riducono nei centri minori, dove i potenziali inquilini sono meno numerosi e i canoni più bassi (370 euro di media mensile fuori dai Comuni ad alta tensione abitativa). In provincia diventa più penalizzante anche il conto di Imu e Tasi, che in proporzione incidono di più: basti pensare che, su una casa con una rendita catastale di 500 euro e imposte comunali ad aliquota media, Imu e Tasi erodono due mesi e mezzo di canone. Ma il rapporto può essere molto più sfavorevole per gli alloggi che hanno meno mercato o rendite catastali penalizzanti – ad esempio, gli edifici costruiti negli anni 60 e 70 in zone periferiche –, e non c’è da stupirsi che molti proprietari rinuncino alla locazione, nonostante le scarse chance di vendita.

D’altra parte, dove la domanda è molto debole, i proprietari che hanno già un inquilino “affidabile” preferiscono sempre più spesso concedere una riduzione del canone – la cui registrazione è detassata dal 2014 – anziché perdere un’entrata per quanto ridotta.

Resta sullo sfondo il nodo degli immobili non abitativi (esclusi dal rapporto delle Entrate). Privi di cedolare e di riduzioni Imu e Tasi su base nazionale, uffici, negozi, magazzini e box non pertinenziali sono il vero anello debole del mercato.

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