Gestione Affitti

Convivente deceduto per il monossido, corresponsabili proprietario e inquilino

di Silvia Marzialetti

La morte di un convivente per intossicazione da monossido di carbonio, vede come corresponsabili il proprietario e l'inquilino dell'appartamento, che non hanno provveduto alla manutenzione della canna fumaria. La sentenza - primo caso di un ampio repertorio giurisprudenziale in cui figuri una terza persona, in questo caso il convivente dell'inquilino - è stata depositata ieri dalla Corte di Cassazione ed è la numero 19034.
Prende in esame il caso di un quindicenne di Genova morto per insufficienza cardiorespiratoria acuta, dovuta, appunto, ad avvelenamento.
Del decesso del giovane il Tribunale di Genova aveva ritenuto responsabili inquilino (compagno della madre della vittima) e proprietario dell'appartamento e li aveva condannati alla pena rispettivamente di dieci mesi e un anno e quattro mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. L'accusa era quella di negligenza e imperizia: per lungo tempo, infatti, avrebbero omesso di controllare e manutenere la canna fumaria e il camino in cui era installata la stufa. Proprio l'occlusione della canna fumaria avrebbe determinato il riflusso dei fumi e dei gas di combustione nei locali dell'abitazione, che si sarebbero dimostrati letali per l'adolescente, ritrovato privo di vita sul letto, con il computer acceso, insieme con il suo cane, anch'esso, morto.
La sentenza di condanna del Tribunale di Genova è stata poi riformata dalla Corte di appello dello stesso capoluogo ligure, determinando il ricorso del procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello, che ne ha dedotto violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: pur avendo il giudice di secondo grado accertato gravi omissioni e negligenze, egli avrebbe del tutto omesso di considerare la molteplicità di cause scatenanti (insufficiente aerazione dei locali; vetustà della stufa; collegamento non conforme alla normativa; montaggio errato delle tubazioni) tutte rientranti nella sfera di dominabilità degli imputati.
Il ricorrente ha inoltre stigmatizzato la palese illogicità del ragionamento con il quale la Corte di appello ha riconosciuto come la diligenza del buon padre di famiglia imponga tutte le verifiche del caso, escludendo tuttavia ogni profilo di rilevanza penale della condotta omissiva.
«In via preliminare - si legge nella sentenza depositata ieri - deve rilevarsi che la pronuncia di secondo grado ha ribaltato la sentenza di primo grado in virtù di una diversa lettura delle prove e/o di una diversa valorizzazione di dati fattuali, sui quali è dirimente l'affermazione di una convergenza di valutazione nell'incipit della motivazione censurata. Il che pone il problema della verifica del compiuto assolvimento, da parte del giudice di appello, dell'obbligo di motivazione rafforzata, ravvisabile in tutti quei casi in cui le sentenze di primo e secondo grado siano difformi».
I giudici di Cassazione hanno infine definito “frettoloso e apodittico” il giudizio contro fattuale. La sentenza impugnata è stata pertanto annullata e rinviata per un nuovo esame a un'altra sezione della Corte di appello di Genova.

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