Gestione Affitti

Il proprietario può sfrattare per morosità l’inquilino che detrae dal canone le spese sostenute senza permesso

di Matteo Rezzonico e Marco Panzarella

Non c'è falso ideologico per il locatore che attesti dinanzi al giudice la morosità persistente
Nel caso in cui l'inquilino, senza l'assenso del proprietario, detragga dal canone di locazione le spese sostenute per dei lavori di manutenzione, il locatore che nel procedimento di sfratto per morosità attesti dinanzi al giudice civile che la morosità persiste, non risponde del reato di falsità ideologica e di errore determinato dall'altrui inganno.
È quanto affermato dalla Corte d'appello di Milano con la sentenza n. 365 del 19 gennaio 2016, che ha ribaltato la decisione del Tribunale penale del capoluogo lombardo, che aveva condannato i due proprietari dell'appartamento a 2 mesi e 20 giorni di carcere con la condizionale, oltre a una provvisionale per il risarcimento del danno di 5 mila euro.
Nella fattispecie, il conduttore aveva arbitrariamente deciso di trattenere da una mensilità dell'affitto la somma di 355 euro, quale cifra spesa per l'imbiancatura dei locali, a suo modo necessaria a seguito di un'infiltrazione d'acqua che aveva danneggiato le pareti. Un intervento non autorizzato dal proprietario, che aveva quindi citato in giudizio l'inquilino per morosità. Quest'ultimo - a seguito della convalida di sfratto per morosità rilasciata con un provvedimento del Tribunale Civile di Milano – aveva, a sua volta, presentato dinanzi alla Procura di Milano una querela contro i due locatori, accusandoli dei reati previsti dagli articoli 48 e 483 del Codice penale, vale a dire “errore determinato dall'altrui inganno” e “falsità ideologica”.
Nel processo di primo grado i locatori erano stati condannati in quanto, secondo i giudici, “l'attestazione di morosità non costituiva mero giudizio, ma era falsa in quanto fondata su dati di fatto non veri”. E infatti, per il Tribunale il conduttore aveva pagato per intero l'affitto relativo al mese di agosto (755 euro) e di settembre, salvo detrarre da quest'ultimo la somma di 355 euro per l'imbiancatura, la cifra oggetto della morosità.
Nel presentare l'appello, il legale difensore dei due locatari aveva osservato come “per giurisprudenza pacifica, non è consentita l'autoriduzione del canone, con conseguente legittimità della dichiarazione di persistenza della morosità”. Per la giurisprudenza – per tutte Cassazione n. 9779/2007 - “(...) Non costituisce falsità ideologica del privato in atto pubblico l'attestazione di permanenza della morosità resa dal locatore in un procedimento di convalida di sfratto, pur in presenza di un avvenuto pagamento di canoni arretrati che lo stesso locatore abbia però rifiutato in quanto ritenuto inefficace”. Secondo gli Ermellini, anche nel caso in oggetto, risulta evidente “la natura di giudizio e non di dichiarazione di scienza dell'attestazione di persistenza della morosità, che non è certo destinata a provare la verità del fatto, sicché si deve escludere che in ciò sia configurabile il mendacio e, quindi, la sussistenza del reato di cui all'art. 483 c.p. in contestazione”. E ancora, come affermato da un più recente pronunciamento della Suprema Corte (sentenza n.17582/2015) “Il presupposto speciale per l'emissione dell'ordinanza di convalida dello sfratto intimato per il mancato pagamento dei canoni, ai sensi dell'art. 663, ultimo comma, del Codice di procedura civile, non è l'obiettiva persistenza della morosità, ma è la semplice attestazione in giudizio da parte del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste, con la conseguenza per cui la convalida è illegittima solo se emessa in assenza di tale attestazione, restando irrilevante la circostanza che essa sia in ipotesi non veritiera, perché emessa in difetto del presupposto della mora (...)”.

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