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La canna fumaria va rimossa se altera il decoro architettonico

di Luca Bridi

La canna fumaria, apposta sul muro comune, altera il decoro architettonico del Condominio e deve essere rimossa. Lo afferma il Tribunale di Milano, sezione XIII civile, n. 3559/2016 pubblicata il 19 marzo 2016 – Giudice estensore Francesca Savignano.
Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 17072/2015, l'uso particolare che il comproprietario faccia del bene comune non può considerarsi estraneo alla destinazione normale dell'area, a condizione però che si verifichi che, per le dimensioni del manufatto o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del bene medesimo un analogo uso particolare
Ha commesso, per tale motivo, molestia la società che, con l'installazione di una canna fumaria, ha immutato lo stato di fatto degradando gravemente l'estetica dell'edificio
La società convenuta aveva, per l'appunto, apposto sul muro comune una canna fumaria, nell'ambito di una corte di un palazzo di pregio, che costituiva sfregio della facciata della medesima corte, previsto peraltro dall'art. 11 del regolamento condominiale che le canne fumarie dovessero essere poste all'interno delle singole unità immobiliari; aggiungevano che la canna fumaria era stata apposta ad una distanza ridotta dalla loro proprietà, determinando una riduzione della visibilità superiore della finestra del loro appartamento, oltre ad avere imposto una servitù di stillicidio di acque sporche derivanti da una condensazione dei fumi, da cui derivavano infiltrazioni di acqua sui loro muri; chiedevano, pertanto, la immediata rimozione della stessa.
Nella specie la Corte di merito, dopo un rigetto del Giudice di primo grado, aveva accertato che la canna in contestazione aveva dimensioni non trascurabili, rappresentata come era da una sovrastruttura apposta nella facciata del palazzo condominiale priva di qualsiasi collegamento dal punto di vista architettonico o funzionale con la parete esterna dell'edificio, per cui alterava notevolmente l'estetica dell'edificio, pure bisognevole di manutenzione, e costituiva un elemento di grave degrado. Inoltre sussisteva anche la lamentata turbativa al godimento della luce proveniente dalla finestra collocata proprio al di sotto della canna fumaria, evincibile dalle foto prodotte, in quanto “l'ingombro della struttura provoca ombra sulla finestra dell'appartamento, diminuendone la luminosità”.
Nella specie si precisava che la modifica di una parte comune e della sua destinazione ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittimava di conseguenza gli altri condomini all'esperimento dell'azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato in modo che essa potesse continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione.
Pertanto, la decisione di accoglimento della domanda di manutenzione nel possesso proposta dai condomini si presentava corretta, incidendo detta struttura sull'estetica dello stabile, oltre a notevolmente ridurre la luce nella stanza che affacciava dalla finestra sottostante la canna.
Nello stesso indirizzo si uniforma la recente Sentenza del Tribunale di Milano , sez. XIII civ., n. 3559/2016 pubbl. il 19/03/2016 – Giugice estensore Dott.ssa Francesca Savignano
La causa aveva ad oggetto le domande proposte da tutti condomini del fabbricato per la rimozione della canna fumaria apposta sul muro perimetrale dell'edificio, previo accertamento della sua illegittima installazione, e di condanna altresì al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Gli attori lamantavano: - la violazione delle distanze legali, ai sensi dell'art. 906 c.c., essendo la canna fumaria posta ad una distanza da balconi e finestre inferiore a quella imposta dalla legge e dal regolamento edilizio condominiale (75 cm.); - la mancanza di previa autorizzazione all'installazione da parte dell'assemblea condominiale; - la violazione dell'art. 1102 c.c. per la illegittima limitazione al pari uso del muro comune da parte degli altri condomini, per le immissioni di fumi ed odori intollerabili che essa provoca e per l'alterazione del decoro architettonico dell'immobile; - la irregolarità della canna fumaria perché non conforme alle norme UNI 7129, 9615 e 10640 ed alla l. n. 615/1966, essendo non verticale ma con angolature, tali da non consentire la corretta evacuazione di fumi e vapori e da favorirne invece il ristagno.
La convenuta resisteva alla domanda, chiedendone il rigetto ed eccependo:
- che l'assemblea condominiale aveva approvato l'installazione della canna fumaria, anche al fine di non ostacolare il libero svolgimento dell'esercizio commerciale oggetto della locazione, ossia l'attività di pizzeria e rosticceria ivi esercitata dal conduttore del suo immobile in forza di contratto di locazione;
– che proprietario della stessa era il conduttore e che quindi ella non aveva facoltà alcuna di rimuoverla, non essendo legittimata passivamente;
- che l'ASL, a seguito di denuncia di alcuni condomini per immissioni intollerabili, aveva disposto la sospensione dell'attività commerciale, ma aveva poi revocato il provvedimento, avendo accertato che erano stati risolti gli inconvenienti igienici;
- che il conduttore aveva, sin dall'epoca del provvedimento sospensivo dell'ASL ed anche in seguito, spostato e modificato la canna fumaria.
La convenuta inoltre previa chiamata in causa dell'amministratore della sua proprietà e nel contempo amministratore condominiale e del titolare dell'omonima impresa individuale (pizzeria) chiedeva, in subordine, la condanna di costoro a manlevarla e tenerla indenne da quanto fosse stata eventualmente condannata a pagare in favore degli attori.
Veniva disposta ed espletata una consulenza tecnica d'ufficio
Verificata l'assenza di una delibera di autorizzazione condominiale, era quindi destituita di fondamento l'eccezione della convenuta secondo cui l'installazione della canna fumaria era legittima in quanto previamente autorizzata dall'assemblea condominiale.
Essa invece era senz'altro illegittima, atteso che, ai sensi dell'art. 4 del Regolamento condominiale, i condomini sono obbligati “al rispetto dei seguenti patti: a) l'estetica, la solidità, la sicurezza, ogni altra variante che comunque possa avere attinenza con la struttura organica, la stabilità e l'aspetto esterno dell'immobile dovrà riportare l'approvazione dell'Assemblea dei Condomini. d) i condomini e i loro eventuali inquilini devono rispettare i regolamenti della casa …”.
Infatti era indubbio che l'installazione di una canna fumaria sulla facciata condominiale incidesse sull'estetica e sull'aspetto esterno dell'edificio
In fattispecie simile il Tribunale Monza 5 maggio 2011 aveva statuito che qualora un manufatto sia stato realizzato in violazione del regolamento condominiale, ne comporta la illegittimità e quindi l'assoggettabilità a rimozione: “In materia condominiale, difatti, le norme regolamentari possono legittimamente derogare o integrare la disciplina legale al fine di dare al concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella di cui all'art. 1120 c.c.”).
Conseguentemente veniva accolta la domanda di condanna alla rimozione della canna fumaria in questione.
Quanto al soggetto passivamente legittimato, veniva identificato nel conduttore, in quanto autore materiale della condotta anche in violazione della disposizione regolamentare al cui rispetto egli è tenuto in forza di apposita clausola contenuta nel contratto di locazione.
Ma parimenti legittimato era il proprietario dell'immobile, stante il principio giurisprudenziale secondo cui “In tema di condominio degli edifici, il condomino che abbia locato la propria unità abitativa ad un terzo risponde nei confronti degli altri condomini delle ripetute violazioni al regolamento condominiale consumate dal proprio conduttore qualora non dimostri di avere adottato, in relazione alle circostanze, le misure idonee, alla stregua di un criterio generale di diligenza posto dall'art. 1176
c.c., a far cessare gli abusi, ponendo in essere iniziative che possono arrivare fino alla richiesta di anticipata cessazione del rapporto di locazione” (Cass. n. 11383/2006).
Allo stesso modo la Cass. n. 825/1997 ed il Tribunale Genova, 31 maggio 2005: “L'obbligo di custodia e la relativa responsabilità verso i terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 2051 c.c., non vengono meno per il proprietario dell'immobile concesso in locazione il quale, siccome principale destinatario delle norme regolamentari, si pone nei confronti della collettività condominiale come responsabile della violazione delle stesse norme da parte sua e da parte del conduttore del suo bene, essendo tenuto non solo ad imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento ma altresì a prevenirne le violazioni ed a sanzionarle”.
Si tratta peraltro di principio costantemente applicato in caso di mutata destinazione dell'immobile locato, in violazione del regolamento condominiale.
Alla luce dei principi esposti il proprietario veniva condannato alla rimozione della canna fumaria e tuttavia poiché il contratto di locazione prevedeva, con clausola finale non enumerata, che “le attività oggetto del contratto si intendono autorizzate con espressa salvezza del diritto dei terzi e previa ogni eventuale autorizzazione condominiale”, trovava accoglimento la domanda subordinata del convenuto proprietario di essere manlevato dal conduttore.
La domanda poi di un danno patrimoniale per una diminuzione del valore commerciale degli immobili veniva rigettata in quanto infondata, giacchè il danno non è in re ipsa, e, prima ancora, in quanto indeterminata, in mancanza di qualunque specificazione circa le concrete caratteristiche dei beni, il valore originario, la diminuzione verosimilmente subita.
Gli attori avevano altresì lamentato il danno alla salute in conseguenza di immissioni intollerabili di odori rimaste senza riscontro in sede di consulenza tecnica d'ufficio.
Pertanto, in mancanza di qualunque prova sul punto, anche la domanda di risarcimento dei danni alla salute veniva rigettata.

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