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Anapic: serve chiarezza sul rapporto tra Dpcm e ordinanze regionali

La presidente ANAPIC,Lucia Rizzi, in relazione alla situazione che si è creata con i due decreti (regionale e nazionale), chiede certezza sul proseguo dell'attività o sulla sospensione per la categoria degli amministratori di Condominio e ha inviato una lettera al presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte e al presidente del Consiglio Regionale della Lombardia Attilio Fontana:

«In relazione al contrasto (innegabile) in tema di studi professionali tra ordinanza della Regione Lombardia, che li chiude, e DPCM “chiudi Italia”, che li lascia aperti, si ritiene opportuno fare chiarezza in vista del passaggio parlamentare, che avverrà nei prossimi giorni.
Ad avviso di chi scrive, il cuore della questione è dato dal conflitto di poteri, o meglio di competenze, tra i due enti.
Se si ritiene che in materia di studi professionali la competenza sia da attribuirsi alla Regioni, allora prevale l'ordinanza regionale, se si ritiene che la competenza sia da attribuirsi allo Stato, allora prevale il DPCM.
In proposito, si deve notare che per moltissime professioni è richiesto un esame di Stato e quindi se ne può dedurre, in linea di principio, la prevalenza della giurisdizione nazionale su quella locale.
Su ciò incide la ripartizione dei poteri in materia di sanità in situazioni di eccezionalità ed urgenza, situazioni quali quella che ci opprime.
Se si reputa che la Lombardia versi in una situazione di eccezionale urgenza anche rispetto al resto del territorio nazionale, il quale versa nelle condizioni che sappiamo, e se si reputa che tale situazione giustifichi l'intervento con poteri suppletivi o integrativi da parte delle autorità locali, allora l'ordinanza della Regione Lombardia è legittima.
Quale che sia la risposta a questi quesiti, che in tempi normali sarebbe probabilmente affidata alla Corte Costituzionale – ma questi non sono tempi normali – appare evidente che il contrasto tra la più restrittiva ordinanza della Regione Lombardia e il DPCM genera un contrasto su cui si deve fare chiarezza per evitare di complicare o peggiorare ancora di più la situazione normativa ed economica.
Infatti, gli studi professionali lombardi, e quindi anche gli amministratori di condominio, rischiano di trovarsi tra incudine e martello.
Se si uniformano all'ordinanza regionale, e chiudono, rischiano di essere accusati di inadempimenti, inosservanza, negligenze, procurati danni.
Se si uniformano al DPCM, e rimangono aperti, rischiano sanzioni pecuniarie (o peggio) da parte della Regione Lombardia.
Non è compito di chi scrive mettersi a fare il legislatore, ma la linea guida deve essere il buon senso.
Un modo di sanare il contrasto potrebbe quindi chiudere, in Lombardia, tutti gli studi professionali, esentandoli da ogni responsabilità derivante da tale chiusura, consentendo solo lo svolgimento di quelle attività eccezionali ed urgenti che il professionista deve compiere e comprovare (quindi, per esempio, se si verifica un allagamento nel condominio, allora l'amministratore dovrà e potrà svolgere tutte le attività necessarie ad evitare disastri, ma non così se si tratta dell'esecuzione di opere voluttuarie o differibili)».