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Amministratori di condominio, deontologia e reputazione

di Francesco Schena

Le professioni intellettuali, da sempre, sono regolate da norme, non sempre scritte, tese a conciliare l'etica personale del singolo professionista con l'applicazione della sua attività in punta di diritto e la più larga morale della categoria nei rapporti con il cittadino quale consumatore finale. Si tratta della deontologia.
Se guardiamo all'accezione più autentica e filosofica del termine stiamo parlando di quell'insieme di doveri connessi a particolari rapporti sociali e della loro codificazione. Insomma, un vero e proprio codice morale e comportamentale che presidia l'operato del professionista proprio in relazione alla sua utilità sociale da una parte e alla necessità di tutela del cliente finale dall'altra.
Di questo codice etico, appunto, si fanno carico spesso le organizzazioni ordinistiche prevedendo anche procedure disciplinari a carico dei professionisti scorretti, arrivando fino alla radiazione dall'Albo. E di codice etico discorre anche la legge n. 4 del 2013 sulle professioni non regolamentate. Tra queste, ricade anche quella dell'amministratore di condominio. Però, attesa l'iscrizione facoltativa e non obbligatoria alle associazioni di categoria da parte degli amministratori è evidente la presenza sul mercato di entrambi i casi.
Esiste, allora, un distinguo fondamentale in termini di deontologia tra professioni ordinistiche e non, sia sul piano dell'applicazione concreta delle possibili misure disciplinari, sia sul piano della possibilità di esercitare legalmente una data professione. In buona sostanza, la deontologia del professionista senz'albo è affidata a sé stesso e la mancata osservanza non determina “sanzioni” di rilievo.
Ma, oltre a questo profilo di esercizio pratico dell'etica professionale, per gli amministratori si pone anche il problema della mancanza di codificazione. E quindi, diventa anche difficile poter contestare una violazione deontologica atteso che tutto verrebbe poi ricondotto o alle idee di quella precisa associazione o alle idee personali quando quell'amministratore non risulti iscritto ad alcuna associazione e potendo legittimamente continuare ad operare.
Tuttavia, non può bastare tutto ciò a ritenere il tema non degno di considerazione ed analisi e questo perché esiste un livello di deontologia che è dato dal comune sentire, da una coscienza sociale e da un'anima di moralità che prescinde dall'esistenza o meno di codici ad hoc.
Proviamo, allora, ad elencare, in via non esaustiva, alcuni comportamenti che dovrebbero essere ritenuti comunque contrari alla deontologia dell'amministratore.
Quello più diffuso è “la demolizione del collega” sui social. Sono troppi, infatti, i casi in cui gli amministratori fanno fatica a conservare un dialogo costruttivo sui social network e troppo spesso scivolano assai facilmente verso la denigrazione del collega formulando anche frasi piuttosto offensive. Altro fenomeno poco edificante e ricorrente sempre sui social è dato dalla affannosa ricerca di consulenza e formazione. I gruppi creati sui social come facebook spesso vengono utilizzati non per confronti o scambio di opinioni ma come vere e proprie risorse e strumenti formativi e di consulenza. Ora, la cosa potrebbe andare anche bene se opportunamente misurata ma il fatto di far assurgere tali strumenti a quello che non sono, dimostra l'approccio approssimativo della categoria al tema. Infatti, la formazione, quella vera, andrebbe ricercata e costruita nelle sedi opportune come corsi e manuali specializzati e non prendendo per oro colato la risposta data nel primo post.
Ma non solo. Questo atteggiamento molto discutibile evidenzia, in tutto il suo sconforto, un altro profilo caratteristico della categoria che è proprio la carenza di formazione specialistica e adeguata. Infatti, l'effetto più comunemente prodotto da alcuni quesiti postati sono due: l'imbarazzante impreparazione di chi pone il quesito e l'altrettanto imbarazzante diversità e contrarietà di opinioni da parte di chi risponde, finendo pure con accuse reciproche di incompetenza o arroganza quando va bene.
Ora, si potrà anche sostenere la teoria del “domandare è lecito e rispondere è cortesia” ma questo non può andar bene quando parliamo di chi vuole essere ritenuto un professionista. Immaginiamo cosa si direbbe di un medico che chiedesse sui social cosa sia il femore o se il cuore si trovi a sinistra; a nessuno verrebbe in mente di giustificare la domanda e tutti nutrirebbero seri dubbi sull'affidabilità di quel medico. Perché, dunque, dovrebbe essere diverso per le altre professioni? Certamente alcune questioni pongono interrogativi ma questi sono giustificati dalla complessità della norma o dalla contrastante giurisprudenza e non possono riferirsi all'abc delle competenze di un amministratore.
Credo, perciò, che nel loro complesso, tali atteggiamenti siano gravemente lesivi della onorabilità di una intera categoria e, per questo, contrari alla deontologia.
Ma vi sono condotte molto più tangibili nel vissuto quotidiano altrettanto esecrabili. Dalla presentazione di candidature a prezzi da fame all'acquisizione di mandati riferiti alla gestione di una scala e non dell'intero condominio, dalle offerte promozionali sui compensi al primo anno gratuito pur di “rubare” un cliente al collega.
E ancora, quanto può ritenersi deontologicamente corretto ficcare il naso nella contabilità del predecessore senza assicurare indipendenza e adeguata formazione in tema di revisione?
E quanto può ritenersi deontologicamente corretto condividere sui social titoloni sul collega scappato con la cassa ancor prima di avere agli atti la disponibilità di un accertamento o di una sentenza?
Come giudicare, poi, il comportamento di quell'amministratore che pur di non perdere le simpatie del proprio cliente adotta non servizi ma modi di fare da servilismo? La raccolta delle quote condominiali porta a porta e la consegna delle convocazioni a mano girando per giorni e giorni sotto il sole cocente per un condominio di cento partecipanti potrebbero essere solo due esempi tra tanti.
Occorre avere bene a mente la distinzione tra un servizio legittimamente offerto nell'ottica della cura del cliente e un atto di svilimento e sottomissione teso a farsi preferire al collega sulla base di una logica folle e sbagliata. Occorre avere il coraggio – perché di questo si tratta – di porre un netto distinguo tra i ruoli del cliente e del professionista che tale deve sempre rimanere. Occorre, insomma, avere la coerenza di operare da professionisti e non accontentarsi di menzionare una sterile legge 4 solo per darsi un tono.
Ma nell'epoca moderna vi è di più. Si comincia a parlare di un vero e proprio rischio reputazionale, un qualcosa che supera le barriere della deontologia e che diviene di immediato giudizio da parte del mercato, con tutte le conseguenze in termini di successo economico. Presto avremo la possibilità di certificare la reputazione dell'amministratore attraverso dei protocolli ben precisi e adottati da organismi terzi e questo potrà, almeno in buona parte, sopperire alla mancanza di un codice etico realmente applicabile per gli amministratori di condominio. Ma di questo vi parlerò nel mio prossimo articolo.
Francesco Schena