Lavori & Tecnologie

Con i «certificati di stabilità» volontari il check up diventa globale

di Silvio Rezzonico e Maria Chiara Voci

In attesa di vedere se e quale seguito avrà la proposta per rendere obbligatoria la certificazione di stabilità degli edifici – avanzata dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e contestata dalla proprietà edilizia – si diffondono in Italia i protocolli di sostenibilità per gli immobili su base volontaria.

Strumenti che sono attivi da almeno dieci anni e in crescita negli ultimi tempi, che servono a garantire le performance di un fabbricato (residenziale, ma anche del terziario) sulla base di un ventaglio di criteri molto più ampio di quello definito dalla norma nazionale e che hanno rappresentato e rappresentano uno stimolo importante per diffondere la cultura dell’ecocompatibilità in edilizia, oltre che per aprire nuovi mercati.

I costi

Ottenere uno di questi sigilli comporta un costo sia in termini di maggiore investimento nella progettazione/costruzione, sia per il rilascio della targa green. In genere le cifre sono calcolate in proporzione alla superficie da certificare e alla complessità tecnica dell’ immobile.

Allo stesso modo, costa anche per i progettisti formarsi per rispondere alle necessità di chi vuole affrontare un percorso di validazione.

I numeri

Sono tre, in particolare, i protocolli di sostenibilità volontari più diffusi nel nostro Paese: CasaClima, Leed e Passivhaus. A questi, si aggiunge il protocollo Itaca, strumento di valutazione sviluppato dall’omonimo istituto con la collaborazione tecnico-scientifica di Itc-Cnr e dell’organizzazione no profit iiSBE Italia, che più che un sigillo volontario è lo standard di riferimento per gli immobili realizzati a partire da bandi e contribuzioni pubbliche.

Quattro modelli, con differenze sostanziali. CasaClima, con oltre 13mila case certificate, guarda soprattutto al residenziale ed è diventato un simbolo di qualità, anche al Sud Italia. Passivhaus arriva dalla Germania e, con numeri ancora ridotti, ma in crescita rappresenta un’alternativa al primo. Leed è il leader incontrastato per la grande taglia (soprattutto terziaria): ottenerlo significa esporre un marchio che ha valore in tutto il mondo. Non a caso fra i progetti che hanno ottenuto il sigillo ci sono le sedi di Zara e Baxter a Roma, Vodafone, Morgan Stanley, Gucci a Milano, Italcementi a Bergamo, Unipol a Bologna, il grattacielo di Intesa San Paolo a Torino e la sede di Bottega Veneta a Vicenza. Infine Itaca, sviluppato da un gruppo interregionale della Pa, rappresenta il punto di riferimento pubblico. È stato adottato (e declinato) da 12 regioni e dalla provincia di Trento.

Cosa attestano

Se la certificazione energetica nazionale si basa soprattutto sull’osservazione delle prestazioni di un edificio in termini di risparmio energetico, i protocolli volontari spostano il proprio focus sul complesso dell’edificio. CasaClima, ad esempio, ne valuta prima di tutto l’efficienza dell’involucro: il principio da cui è sempre partito lo standard (che poi si è sviluppato anche su altri aspetti e con protocolli paralleli a quello base) è che ridurre alla fonte la richiesta di energia sia il migliore modo per abbassare i consumi.

Sulla performance dell’edificio è incentrato anche Passivhaus, che prevede - quale elemento essenziale per conseguire il sigillo - il cosiddetto Blower door test o test di tenuta all’aria. Il sistema di rating Leed - già nella sua versione base - valuta l’impatto ambientale di un fabbricato considerando una pluralità di dimensioni: non solo l’efficienza energetica, ma anche la scelta del sito di costruzione, la gestione efficiente dell’acqua, i materiali impiegati negli edifici, lo smaltimento dei rifiuti, il comfort e la salubrità degli spazi interni.

Così anche l’italiano Itaca: il protocollo pesa la sostenibilità dell’edificio in funzione di un ventaglio ampio di fattori ed è basato sullo strumento di valutazione internazionale SBTool.

Chi li rilascia

A seconda del protocollo, il rilascio è centralizzato o locale. Il primo schema (quello che, sulla carta, permette un controllo più capillare) è il modello scelto ad esempio da Casa Clima.

Ma lo stesso fa Leed: il sigillo - qualsiasi sia il Paese - arriva dagli Stati Uniti. La differenza è che nel primo caso, l’agenzia di Bolzano si avvale di una rete capillare di professionisti abilitati sul territorio. Nel secondo, Leed ha un comitato italiano e una rete di professionisti e aziende che si riconoscono nel marchio e lo promuovono, ma non hanno dovuto seguire corsi o superare esami ad hoc. Nel caso di Passivhaus sono direttamente i certificatori accreditati che firmano il documento: deve essere però redatto e conforme secondo gli output richiesti dal software di calcolo Phpp, distribuito in Italia dall’istituto Zephir Passivhaus Italia.

Le altre esperienze

L’ultimo in ordine di tempo - tra quelli che si sono affacciati sul mercato italiano - si chiama Well building standard ed è un sistema nato, nell’emisfero Leed, per misurare la salubrità dell’ambiente, attraverso l’analisi della qualità di aria, acqua, alimentazione, luce, comfort e condizione psico-fisica degli abitanti.

Il più visionario è il Living building challenge, che punta alla costruzione di case capaci di rigenerarsi come alberi, sfruttando le sole risorse presenti sul sito in cui sono costruite.

Altri rispondono allo sviluppo in Italia di esperienze attive all’esterno: come l’inglese Breeam, il francese Hqe o lo svizzero Minergie. A necessità di comparto: come Arca per le case in legno. O a iniziative di professionisti, attivi nel settore della sostenibilità: è il caso degli standard Phi (Passive house institute Italia) o da Activh ouse Italia.

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