Lavori & Tecnologie

Truffa contrattuale se l'immobile non è conforme all'Ape

di Donato Palombella


La normativa vigente (il riferimento è al Dlgs 192/2005 e al più recente Dl 62/2013) riconosce un ruolo fondamentale alla certificazione energetica degli edifici.
Il Legislatore non si limita a prevedere che l'acquirente abbia ricevuto le informazioni sulla prestazione energetica dell'immobile, ma va ben oltre, imponendo la materiale consegna della relativa documentazione. Detto in altri termini, non è sufficiente informare verbalmente l'acquirente sulla "fame di energia" dell'appartamento, ma occorre consegnare materialmente il cosiddetto Ape, ovvero l'Attestato di prestazione energetica. In realtà l'attuale mercato immobiliare non valuta con sufficiente attenzione gli aspetti energetici delle unità immobiliari mostrando maggior interesse per elementi più immediati e tangibili quali il prezzo di acquisto e la possibilità di accedere ai mutui. Ciò non toglie che qualcuno possa pretendere, a ragione, che l'Ape non sia solo un semplice "pezzo di carta", ma che quanto dichiarato corrisponda alla realtà. Ed è proprio ciò che è accaduto nel caso in esame in cui il costruttore-venditore vende un immobile che si scopre dotato di caratteristiche diverse da quelle dichiarate nella certificazione energetica. Diciamo subito che si tratta di "situazioni scomode" capaci di sfociare nella truffa contrattuale (art. 640 del codice penale).

Il fatto
Il costruttore rilascia un certificato energetico che riporta una categoria non corrispondente alle caratteristiche dell'immobile venduto e, di conseguenza, scatta l'accusa di truffa contrattuale. La Corte di appello presume la buona fede e, facendo leva su di essa, esclude la responsabilità del venditore che, a quanto pare, aveva confidato nelle valutazioni dei tecnici che avevano attestavano la conformità delle opere al progetto approvato.

Il costruttore non può essere in buona fede
La sentenza viene impugnata dall'acquirente: il costruttore non poteva essere in buona fede in quanto i lavori erano stati eseguiti in economia e non poteva non sapere di avere utilizzato materiali di qualità inferiore a quella dichiarata, di avere installato serramenti ed impianti di riscaldamenti non conformi e di non avere rifatto il tetto. Ciò avrebbe comportato, come diretta conseguenza, un peggioramento della classe energetica dell'edificio.

La decisione della Cassazione
La Sezione II penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16644 del 4 aprile 2017, ha accolto il ricorso. Il costruttore-venditore non poteva non sapere che la difformità tra i lavori eseguiti e quelli progettati avrebbero comportato un peggioramento della categoria energetica dell'edificio e, conseguentemente, la vendita di un immobile con caratteristiche diverse (o meglio, peggiori) rispetto a quelle dichiarate nella certificazione energetica.

Risparmiare costa caro
Ma per quale motivo il costruttore non poteva non sapere? Secondo la cassazione, la vendita dell'immobile con una classe energetica effettiva non corrispondente a quella dichiarata non poteva sfuggire al costruttore, in quanto le opere risultano meno costose rispetto a quanto inizialmente previsto. In sostanza, il costruttore avrebbe voluto risparmiare sui costi e, in tal modo, gli immobili sarebbero risultati difformi dal progetto originario.

Attenzione alle certificazioni dei materiali
La Cassazione insegna che occorre prestare la massima attenzione possibile nell'attestare le prestazioni dell'immobile. Volendo esasperare il concetto, si potrebbe giungere ad affermare che tutte le componenti del fabbricato dovrebbero essere certificate costituendo un vincolo per il costruttore-venditore. Nel concreto, però, occorre spezzare una lancia in favore delle imprese di costruzione che, spesso, non sono poste nelle condizioni di lavorare con la dovuta serenità; le procedure tecnico-amministrative, a dispetto della sbandierata "semplificazione", si fanno ogni giorno più contorte e le norme, dal loro canto, si accavallano tra loro rendendo la situazione critica anche per i più esperti.

Sintomatico il caso dell'Enea
Le imprese vengono "bacchettate" perché non rispettano le norme ma non ci si rende conto di quanto la normativa sia carente e farraginosa. Proprio in questi giorni è stata presentata una interpellanza parlamentare denunciando (presunti) inadempimenti da parte dell'Enea. Di che stiamo parlando? A quanto pare l'Enea non avrebbe reso noto i dati necessari per compilare la prescritta certificazione energetica.
Cerchiamo di chiarire l'arcano. Il decreto interministeriale 26 giugno 2015 pone a carico del proprietario/venditore l'obbligo di effettuare la comparazione delle prestazioni energetiche degli immobili; in definitiva è necessario dichiarare gli indici di prestazione e la classificazione degli edifici simili sulla base di informazioni fornite da Enea.
L'Enea, a sua volta, avrebbe dovuto divulgare i dati necessari entro il 1° aprile 2017 (e non si tratta di un pesce d'aprile) ma risulta ancora inadempiente per cui, a cascata, i privati non sono posti nelle condizioni di rispettare la normativa vigente. Tale situazione ha fatto scattare la denuncia di tre parlamentari che hanno chiesto al Ministro dello sviluppo economico "quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di verificare le motivazioni per cui l'Enea non abbia ancora adempiuto agli obblighi citati in premessa e quali iniziative abbia intenzione di adottare al fine di rendere operativo anche questo adempimento".

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