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I sottotetti condonati non entrano nel conto della volumetria del nuovo edificio

di Valeria Sibilio

Teorizzare un errore di fatto revocatorio, in un ricorso, non ricorre nell'ipotesi di anomalia del procedimento di interpretazione del materiale probatorio, essendo la percezione dei fatti di causa frutto dell'apprezzamento e valutazione delle risultanze processuali da parte del Giudice. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato nella sentenza 4223 del 2018 con la quale ha giudicato un caso nato da una controversia concernente un immobile sito in Milano, confinante con due condomìni.
Originariamente, vi era un complesso di più edifici adibito ad asilo, costruito nei primi anni del novecento, che negli anni è stato oggetto di interventi abusivi e di vari condoni. La causa in argomento riguardava uno di questi edifici, inizialmente costituito da un piano terreno e da un sottotetto, oggetto di una concessione edilizia in sanatoria nel 2007, relativa alla trasformazione del sottotetto in due unità immobiliari ad uso residenziale, e di altrettante nel 2008, relative alla trasformazione del volume esistente al piano terra e alla creazione di un nuovo piano, mediante soppalchi, con piccoli appartamenti ad uso residenziale.
Una Società otteneva, nel 2010, un permesso riguardante tre piani di autorimesse interrate, per una sostituzione edilizia ai sensi dell'art 3, comma 4, della L.R. 13/09 mediante demolizione dell'edificio esistente e nuova realizzazione di uno residenziale da sette piani fuori terra. Sulla base di questo atto abilitativo, si procedeva alla demolizione dell'immobile originario e alla costruzione del nuovo edificio con le maggiorazioni di volumetria del 30%, quale risultante dei provvedimenti di sanatoria emanati negli anni 2007/2008 per la trasformazione del sottotetto e per il piano ricavato mediante soppalchi al piano terra. Il TAR rigettava, ed in parte dichiarava inammissibile, il ricorso presentato da due condomìni confinanti - e da alcuni condòmini - i quali impugnavano il permesso del 2010 e i presupposti provvedimenti di condono. Successivamente, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2994 del 2014, accoglieva integralmente l'appello proposto dagli originari ricorrenti e, per l'effetto, il ricorso proposto innanzi al TAR, annullando tutti i provvedimenti impugnati. La società proponeva ricorso per revocazione con quattro motivi, mentre i due condomini ed un terzo attore si costituivano in giudizio depositando memorie e chiedendo il rigetto.
Nell'esame del terzo profilo del primo motivo di revocazione, si evidenziava il fatto che la Società aveva depositato alcuni documenti, assunti come decisivi, dei quali è entrata in possesso solo nel 2014, quando le erano stati consegnati dalla prima proprietaria dell'immobile che aveva chiesto il condono. A giustificazione delle sue ragioni, deduceva che l'esigenza degli stessi era sorta solo successivamente, per effetto della sentenza che annullava tutti gli atti, compresi i permessi in sanatoria. Motivo considerato, dal Consiglio, privo di pregio e delle condizioni previste dalla norma per l'ammissibilità della revocazione. Secondo la Corte di legittimità, l'impossibilità di produrre in giudizio un documento decisivo che giustifichi una domanda di revocazione di una sentenza passata in giudicato, può essere ravvisata solo quando chi promuove la revocazione abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per acquisire il documento e di non esserci riuscito per causa a lui non imputabile o per fatto dell'avversario. In questa seconda ipotesi, è necessario fornire la prova della specifica iniziativa probatoria della parte nel giudizio di merito e di un comportamento ostativo della controparte, non essendo sufficiente allegarne la mancata collaborazione. Nella specie, la società ricorrente non ha dedotto nulla su eventuali ostacoli nella richiesta dei documenti, se non che non ce ne era stato bisogno in presenza delle pratiche di sanatoria.
Nel secondo motivo di revocazione, si invocava un errore di fatto commesso dal giudice in riferimento alla riconduzione delle domande di condono provenienti da un unico centro di interesse ai fini del calcolo della volumetria massima condonabile, valutando la riconducibilità dell'assetto proprietario ai medesimi soggetti e riconoscendo sussistente l'espediente di denunciare opere, non collegate, al fine di lucrare ulteriori volumetrie, mettendo in evidenza l'unicità dell'unità immobiliare. Motivo anch'esso giudicato inammissibile essendosi prospettata, come errore di fatto, una critica che investe le argomentazioni in diritto del giudice. L'errore di fatto revocatorio non ricorre nell'ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali, quando la dedotta erronea percezione dei fatti di causa abbia formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, e, quindi, sia il frutto dell'apprezzamento, della valutazione e dell'interpretazione delle risultanze processuali da parte del Giudice. Anche nel caso in cui tali ipotesi dessero luogo ad un errore di giudizio, questo non sarebbe censurabile mediante revocazione, altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio.
Anche negli altri motivi di revocazione vengono inammissibilmente prospettati come di fatto, errori che, al limite, potrebbero essere giudicati di diritto.
Nel terzo motivo, secondo la società ricorrente, la sentenza avrebbe ritenuto calcolabile ai fini del rispetto del limite del 30% della volumetrie aggiuntiva - al contrario del permesso di costruire del 2010 - la superficie lorda pavimento relativa ai volumi posti al piano terra del nuovo edificio, per la mancanza di un impegno alla costituzione di un vincolo pertinenziale. L'errore di fatto consisterebbe nell'avere ritenuto assente il vincolo pertinenziale, che, invece, la società assumeva esistente in ragione del rapporto funzionale tra edifico principale e opere scomputate al piano terra, prive di autonoma destinazione d'uso. Per il Consiglio, se è vero che la sentenza contiene periodi ripetuti, è innegabile che in tal modo è ripresa l'argomentazione utilizzata quando, occupandosi degli appartamenti sul piano soppalcato, ha ritenuto l'illegittimità degli stessi per essere provenienti da un unico centro di interesse.
Nel quarto motivo di revocazione si censurava la valutazione del giudice nell'individuazione di una nuova costruzione, eccependo che nessuno l'aveva mai dedotta e gli stessi condomìni appellanti avevano solo parlato di ristrutturazione edilizia. Inoltre, si lamentava la mancata considerazione delle DIA in variante, presentata nel maggio 2011, sostenendo che, per effetto di questa, l'edificio sarebbe stato realizzato in totale aderenza per tutto il primo piano. Inoltre, la ricorrente argomentava la legittimità delle distanze, anche a prescindere dalla variante, come confermato dalla perizia del consulente in una causa civile, prodotta con il ricorso per revocazione. Il giudice ha considerato irrilevante la DIA in variante, in quanto trattasi di manufatto totalmente nuovo, su un'area di sedime differente, con volumetria e ingombro di sagoma di gran lunga maggiori, con conseguente applicazione della disciplina inderogabile delle distanze. Rispetto al Condominio, il giudice ha rilevato la violazione della distanza di m. 10, dato che lo spazio tra edifici vicini era costituito da un cortile comune; rispetto al condominio, ha ritenuto che l'intercapedine creata mediante l'apposizione di una copertura tra i due edifici non costituisce una costruzione in aderenza.
Negli ulteriori due profili, articolati sempre con il primo motivo di revocazione, con il primo si deduceva il travisamento in cui sarebbe incorso il giudice per aver confuso i soppalchi con il sottotetto, dove erano stati realizzati due appartamenti condonati, pervenendo in questo modo alla falsa supposizione dell'inesistenza del sottotetto, senza considerare i condoni degli appartamenti soppalcati al piano terra. Censura, questa, ritenuta priva di pregio, in quanto, riferendosi alla non provata esistenza delle abitazioni condonate nel sottotetto e affrontando separatamente gli appartamenti realizzati mediante soppalchi al piano terra, il giudice non può aver confuso questi ultimi con le suddette abitazioni. Dei soppalchi si è occupato nella parte in cui considera unitariamente le richieste di condono come riferibili ad unico centro di interesse rispetto all'intero immobile. Ai sensi dell'art. 21.r. n. 13 del 2009, l'ampliamento autorizzato avrebbe dovuto tener conto della volumetria originaria e non di quella possibile sulla base dei condoni relativi ai soppalchi, perché riconducibili ad un unico centro di interesse. Riguardo al sottotetto, il giudice ha rilevato la differenza tra quanto allegato con ricostruzioni in pianta per ottenere il condono, dove emergono sul sottotetto lucernai, e quanto allegato dalla stessa società per dimostrare l'esistenza del sottotetto e dei lucernai, ritenendo provata l'esistenza del sottotetto abitabile.
Con il secondo profilo, la società ricorrente sosteneva che il giudice avrebbe travisato il contenuto di foto, dalle quali risulterebbe provata l'esistenza del sottotetto abitabile. Un profilo privo di pregio in quanto non ricorre l'errore di fatto ravvisabile in caso di travisamento del contenuto di un atto, quale evidente divergenza tra il medesimo e la sua rappresentazione da parte del giudice, che si risolverebbe in una errata o omessa percezione del contenuto materiale degli atti di causa.
Il Consiglio di Stato ha, perciò, rigettato il ricorso, compensando integralmente le spese processuali.

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