Lavori & Tecnologie

Anche le «vibrazioni» negli edifici sono dannose

di Ezio Rendina

Il “disturbo” prodotto dal rumore e dalle vibrazioni è argomento piuttosto delicato sotto molti aspetti poiché coinvolge diverse sfaccettature dell'essere umano (corpo e psiche), della tecnica, normative e giuridiche.
Mentre il disturbo da rumore è ben regolamentato così non è per quello da vibrazioni dove gli studi medico-ingegneristici, pure di lunga data, non hanno avuto un'evoluzione efficace nel quotidiano delle persone: le norme tecniche sono limitate, spesso datate e, almeno in Italia, prive di riscontro e contraltare giuridici. Fino all'anno 2007 la regolamentazione era esclusivamente di natura tecnica mancando ogni riferimento legislativo. Dal 2007, anno del decreto che introdusse concetti e obblighi sul rischio indotto al corpo umano (ma solo dei lavoratori) dalle vibrazioni, si è assistito a un notevole sviluppo per quanto concerne la valutazione del possibile danno fisiologico, determinato dall'esposizione a livelli di vibrazioni elevati e/o di lunga durata.
Per gli aspetti di disturbo (che in genere sono legati non tanto al possibile danno fisiologico al corpo umano, quanto al danno di natura psicologica che il disturbo determina) tutto è rimasto fermo all'anno 2003.
Verso la fine degli anni '70, infatti, la norma ISO 2631 aveva introdotto per la prima volta il concetto di “disturbo” da vibrazioni, inquadrando tecniche di misura, ponderazioni in frequenza e valori limite.
La norma internazionale ha per anni costituito l'unico riferimento tecnico per la valutazione dell'effetto delle vibrazioni sull'uomo; a metà degli anni ‘80 tale norma si è ramificata in parti più specifiche. Per l'esposizione alle vibrazioni all'interno degli edifici nel 1989 è stata sviluppata la ISO 2631-2 che forniva i limiti ai quali attenersi. La ISO 2631 ha avuto in Italia due “figli” di rilievo: il primo, in ambito normativo, è la norma UNI 9614:1990, una sorta di “traduzione ragionata” della ISO 2631-2 della quale adotta principi e metodologie e aggiunge anche una sezione sulle vibrazioni di origine ferroviaria. L'altro “figlio” della norma ISO 2631-2 è stato un capitolo del Regolamento di Igiene Tipo della Regione Lombardia che imponeva i limiti della ISO 2631-2 come criterio di igienicità (e quindi di abitabilità) degli edifici.
Nel 2003 la ISO 2631-2 ha subito una rivoluzione soprattutto per questi aspetti:
• i metodi di misura e di ponderazione sono stati rivisti drasticamente, anche in virtù dell'introduzione massiccia dei sistemi digitali per l'acquisizione e per l'elaborazione dei dati;
• sono stati eliminati i limiti di riferimento per il disturbo affrontando il problema come se si fosse tornati all'anno zero, dichiarandosi come norma puramente tecnica, utile e necessaria per un protocollo di misura comune fra tutti gli sperimentatori del mondo. Sulla base delle misure raccolte con i nuovi metodi proposti dalla norma potranno essere sviluppati e articolati indici, limiti e metodi di valutazione.
Si osserva, di fatto, la presa d'atto a livello internazionale che tutti i dati epidemiologici di questo ambito sono stati riconsiderati come non più attendibili. A livello nazionale questo drastico cambio di indirizzo ha reso di fatto il panorama tecnico privo di riferimenti poiché le “vecchie” versioni (e quanto discende da loro) sono non più valide, visto che il normatore ha ritenuto di pensionarle senza avere nuove alternative fino al 2017, ben 14 anni dopo, con la norma UNI 9614:2017 che mutua dalla ISO 2631-2:2003 i metodi di misura mentre, per quanto attiene i limiti, ha preso spunto da una serie di studi e norme (in particolare da una norma norvegese, la NS 8176E:2006).
La norma UNI 9614 inquadra con grande dettaglio le modalità di misura e il metodo di elaborazione dei dati. Si articola, come di consueto, in orari diurni e notturni specificando, in più, anche le giornate festive rispetto a quelle feriali. La norma indica i limiti di riferimento massimi, organizzandoli per diverse tipologie di utilizzo suddivise in ambienti a uso abitativo e altri ambienti particolari (scuole, ospedali e attività lavorative). La norma è orientata, per quanto riguarda i limiti di riferimento, al recettore del disturbo, senza fare riferimento alla tipologia di sorgente, né per l'origine (macchinari, infrastrutture di trasporto, ecc.) né per il tipo di sollecitazione che ne deriva (impulsività, parzialità, ecc.).
Nello stesso filone di revisione normativa si inserisce la revisione della norma UNI 9916:2004 “Criteri di misura e valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici”, revisionata nel gennaio 2014. Essa inquadra la diffusa problematica dei danni agli edifici derivanti dalle vibrazioni. La norma non ha valenza strutturale o antisismica e non riguarda la possibilità di danneggiamenti pericolosi per la stabilità degli edifici, ma inquadra i cosiddetti danni “cosmetici”, che consistono tipicamente nella formazione di fessure, crepe, distacchi di intonaco e fenomeni affini.
Nonostante l'apparente, estrema, specificità della norma, la disciplina è in realtà assai vasta e interessa tanto edifici posti nelle vicinanze di sorgenti legate al traffico veicolare e ferroviario, quanto edifici prossimi ad aree di cantiere, senza dimenticare vibrazioni indotte da attività industriale o anche da sorgenti interne agli edifici.
La fissazione di criteri generali e, quindi, di limiti che indichino la pericolosità delle sollecitazioni meccaniche rispetto alla formazione di danni di soglia è materia assai ardua e complessa: la stessa identica sollecitazione dà luogo a danni in edificio e non a un altro, in funzione della tipologia costruttiva, così come all'interno dello stesso edificio sollecitato a vibrazione i danni si manifestano in alcune zone e non in altre.
Addirittura il medesimo edificio, invecchiando (si pensi agli intonaci, per esempio) può cambiare il suo comportamento in risposta alle vibrazioni. Inoltre è sempre presente il dubbio se il danno visibile sia dovuto alle vibrazioni oppure a fenomeni d'altra natura, fra cui in primis l'assestamento statico.
La necessità di normare un ambito così variegato, tuttavia, risiede nel fatto che il problema è molto diffuso e origina contenziosi significativi sotto gli aspetti tecnici ed economici.
In ambito italiano la normativa è stata piuttosto carente fino alla pubblicazione, nel 2004, della prima edizione della UNI 9916.
Sulla scorta dell'esperienza di un decennio la norma UNI 9916:2014 indica ora come preferenziale l'indicazione della norma tedesca DIN 4150-3; con questa revisione, oltre a un'incrementata efficacia, la norma fissa basi comuni fra diversi sperimentatori in maniera che nel futuro possano essere focalizzati ancora meglio aspetti a oggi poco conosciuti, attraverso l'uso di misurazioni accurate e adeguate.

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