Lavori & Tecnologie

Il regolamento edilizio ha l’ultima parola sulle distanze tra costruzioni

di Valeria Sibilio

Uno dei temi più delicati, nell'ambito dell'universo condominiale, è legato alle «distanze legali», ritenute inviolabili senza ammettere alcuna eccezione. Nell'ordinanza n°19552 del 2018 (relatore Antonio Scarpa), la Cassazione ha esaminato il ricorso promosso da una Società in Nome Collettivo, articolato in tre motivi contro la sentenza n. 154/2014 della Corte d'Appello. Tale società aveva convenuto in giudizio, davanti al Tribunale, una società di Leasing s.p.a. ed una società a responsabilità limitata, per ottenere la condanna alla riduzione in pristino ed al risarcimento dei danni conseguenti alla costruzione di un edificio, adibito a capannone industriale (di proprietà della prima e condotto in locazione finanziaria dalla seconda), giusta concessione edilizia rilasciata il 21 novembre 2001, in violazione delle distanze previste dal d.m. n. 1444/1968 e dalle n.t.a. del PRG comunale, in quanto posto a soli 37 cm. dal preesistente fabbricato degli attori.
Le convenute sostenevano che il nuovo capannone industriale era stato realizzato in sopraelevazione al piano interrato già esistente ed in aderenza al corpo di fabbrica di proprietà del ricorrente. In riconvenzionale, domandavano l'arretramento della costruzione degli attori. Venne chiamato in causa anche l'architetto esecutore delle opere. Con sentenza dell'8 gennaio 2008 il Tribunale dichiarava che l'immobile della Leasing s.p.a., condotto in locazione finanziaria dalla Società a Responsabilità Limitata, era stato costruito sul confine con il fondo di proprietà del ricorrente, costruito in arretramento di 40 cm. dalla medesima linea di confine.
Dichiarava, inoltre, che gli attori avessero usucapito il diritto di mantenere il proprio fabbricato costruito nel 1962 nell'attuale posizione. Il Tribunale condannava i ricorrenti ad arretrare, invece, i corpi di fabbrica costruiti tra il 1984 ed il 1987 e tra il 1996 ed il 2000 fino alla distanza di cinque metri dal confine, rigettando la domanda di risarcimento. In seguito, la Corte di Secondo Grado respingeva l'appello proposto in via principale dalla Società in Nome Collettivo e, in accoglimento dell'appello incidentale della società di Leasing, dichiarava la comunione forzosa del muro perimetrale del lato sud del capannone edificato sul mappale 255 di proprietà del ricorrente, per tutta la sua lunghezza di circa m. 30, condannando la società di leasing attrice a corrispondere le somme di euro 7.414,77 e di euro 805,00 per il valore della metà del muro e del suolo da occupare con la nuova fabbrica, confermando per il resto la sentenza di primo grado.
Il primo motivo del ricorso denunciava l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., consistente nel passaggio in giudicato del capo autonomo della sentenza di primo grado inerente all'avvenuta usucapione del diritto di mantenere i cespiti immobiliari edificati dai ricorrenti nel 1962 nell'attuale posizione rispetto al confine, incluse tubature, pluviali e accessori presenti sulla parete esterna del muro perimetrale del capannone. I ricorrenti principali sostenevano di aver usucapito la servitù di mantenere nel corrispondente stato di fatto le loro costruzioni rispetto al mappale n. 265 del proprietario frontista, evidenziando come all'epoca della costruzione dell'edificio non vigessero le norme tecniche di attuazione del P.R.G. comunale che hanno poi imposto la distanza di metri cinque dal confine. I ricorrenti esponevano che la conseguenza logica sarebbe stata l'arretramento della costruzione della società di leasing sino alla distanza regolamentare. Per i ricorrenti, l'avanzamento della fabbrica di Leasing s.p.a. sino ad innestarsi sul proprio muro, comporterebbe la soppressione del diritto dei ricorrenti principali a mantenere gli accessori presenti sulla parete esterna del muro stesso, vanificando la servitù acquisita. Il secondo motivo del ricorso principale della s.n.c., denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 875, 874, 873 e 872 c.c. in relazione alle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune, evidenziandosi come le controparti non avessero dimostrato la “serietà” della loro volontà di costruire in appoggio o in aderenza, ex art. 875 c.c., né avessero provato la concreta realizzabilità dell'avanzamento del fabbricato oggetto della domanda avanzata in via subordinata di appello incidentale, sicché doveva essere demolita la costruzione della società di Leasing sino alla distanza di cinque metri.
I primi due motivi del ricorso sono stati esaminati congiuntamente e ritenuti in parte inammissibili e comunque infondati in quanto i ricorrenti principali non hanno offerto elementi per mutare l'interpretazione della Corte d'Appello. Il principio della prevenzione comporta che il confinante, che costruisce per primo, può edificare sia alla distanza minima imposta dalla legge, sia sul confine, sia a distanza inferiore alla metà di quella prescritta per le costruzioni su fondi finitimi (come fatto nel 1962 dagli Invernizzi), salva, in tale ultimo caso, la possibilità per il vicino, che elevi un fabbricato successivamente, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, chiedendo la comunione forzosa del muro ex art. 875 c.c., oppure costruendo in aderenza, ex art. 877 c.c. (Cass. Sez. 2, 08/07/2014, n. 15547).
Se poi i regolamenti edilizi, pur stabilendo espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine, consentano la facoltà di costruire sul confine (proprio come le sopravvenute norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune), si versa in ipotesi del tutto analoga, sul piano normativo, a quella prevista e disciplinata dagli artt. 873 e ss. c.c., con la conseguente operatività del medesimo principio della prevenzione, in base al quale chi edifica per primo sul fondo contiguo ad altro ha una triplice facoltà alternativa: a) costruire sul confine; b) costruire con distacco dal confine, osservando la distanza minima imposta dal codice civile ovvero quella maggiore distanza stabilita dai regolamenti edilizi locali; c) costruire con distacco dal confine a distanza inferiore alla metà di quella prescritta per le costruzioni su fondi finitimi, rimanendo in tal caso, come visto, la facoltà per il vicino, che costruisca in un secondo momento, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando la metà del valore del muro del vicino, che diventerà comune, e il valore del suolo occupato per effetto dell'avanzamento della fabbrica (Cass. Sez. 2, 28/11/1998, n. 12103; Cass. Sez. 2, 05/10/2000, n. 13286; Cass. Sez. 2, 07/08/2002, n. 11899; Cass. Sez. 2, 30/10/2007, n. 22896; Cass. Sez. 2, 09/04/2010, n. 8465).
Quindi, per la Cassazione, correttamente la Corte ha ritenuto tempestivo l'interpello ex art. 875, comma 2, c.c. svolto dalla società di leasing. «in via subordinata di appello incidentale», in quanto è chiaro in giurisprudenza che tale preventivo interpello, richiesto, appunto, dall'art. 875, comma 2, c.c., al fine di consentire al vicino l'esercizio della facoltà di estendere il muro al confine o di procedere alla sua demolizione o di arretrarlo alla distanza legale, onde sottrarlo alla comunione forzosa - pur concretandosi in un atto distinto dalla domanda di comunione forzosa del muro, nella quale non può considerarsi logicamente implicito - ben può essere contenuto sia nello stesso atto di citazione con cui si richiede la comunione forzosa che in un atto processuale successivo (non esigendo l'osservanza di formule sacramentali, ma soltanto l'univoca intenzione di provocare una manifestazione di volontà negoziale riguardante la definitiva sistemazione del rapporto di vicinanza fondiaria), purché, prima della decisione del giudice, venga data alla controparte la possibilità di scelta tra la demolizione del muro o l'estensione dello stesso al confine e venga, con l'interpello, bloccata la situazione che è presupposto dell'acquisto della medianza (Cass. Sez. 2, 20/04/2006, n. 9293; Cass. Sez. 2, 06/12/2001, n. 15492 del Cass. Sez. 2, 09/02/1987, n. 1343).
Circa la mancata verifica della serietà d'intento ex art. 875, comma 1, c.c., occorre ribadire come, ai fini dell'attribuzione della comunione forzosa del muro ai sensi dell'art. 875 c.c., non è ostativo il fatto che l'interpello previsto da detto articolo venga notificato al preveniente dopo che costui abbia agito in giudizio per ottenere l'osservanza delle distanze legali da parte del vicino prevenuto, né che quest'ultimo abbia già costruito in violazione di tali distanze, ma è invece necessario accertare se, in relazione alla particolare situazione dei luoghi o all'esistenza di particolari vincoli di carattere negoziale o normativo, è in concreto possibile per il prevenuto estendere la propria fabbrica entro il fondo del vicino ponendola in aderenza con la preesistente costruzione del preveniente. L'indagine sulla serietà della volontà del prevenuto di costruire in aderenza, lungi da essere una ricerca sulle sue determinazioni volitive, si concreta, pertanto, nell'attuazione e quindi, in definitiva, nella sola verifica della fondatezza della domanda volta ad ottenere la comunione forzosa (Cass. Sez. 2, 08/09/2000, n. 11858).
L'unico motivo del ricorso incidentale della società che ha acquistato l'immobile già di proprietà della società di leasing deduceva la violazione o falsa applicazione egli artt. 872 e 875 c.c. per l'errata applicazione del principio di prevenzione in relazione alla convenzione 10 dicembre 1984. Con tale censura, invoca una diversa interpretazione di tale convenzione, in maniera da ottenere il rigetto del ricorso principale per motivi diversi da quelli fatti valere dalla Invernizzi ed attinenti a questioni risolte nel precedente grado di giudizio in senso sfavorevole alla stessa resistente. Il motivo del ricorso incidentale viene perciò anche dichiaratamente subordinato all'eventualità che fosse stata ritenuta erronea l'applicazione del principio di prevenzione fatto nella sentenza impugnata. Tale censura rimane quindi assorbita per effetto del rigetto dei primi due motivi del ricorso principale.
Il terzo motivo del ricorso principale denunciava la violazione e falsa interpretazione degli artt. 116, 167 e 184 c.c. lamentando la mancata ammissione del capitolo 5 di prova testimoniale, dedotto in primo grado e richiamato in appello, con il quale si chiedeva di descrivere il fabbricato “con pareti finestrate prospicienti il mappale n. 265 della convenuta”. La censura è relativa alla domanda di arretramento del corpo di fabbrica edificato dalla società di leasing sul mappale 265 prospiciente il fronte finestrato della palazzina uffici della società ricorrente. La Corte d'Appello aveva rigettato tale domanda per mancanza di prova ed aveva ritenuto tutti i capitoli di prova richiesti dagli appellanti “generici e comunque non risolutivi”.
In tema di rapporti di vicinato, ai fini dell'applicabilità della distanza minima tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, l'accertamento in ordine alla presenza di “pareti finestrate”, ovvero di pareti munite di finestre qualificabili come “vedute”, ponendo altresì la necessità di verifiche tecniche connesse alla valutazione degli elementi di fatto rilevanti ai fini della decisione, è rimesso al giudice di merito, a norma dell'art. 116 c.p.c., ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La Corte d'Appello aveva escluso che la prova della presenza di “pareti finestrate” potesse ricavarsi dalle riproduzioni fotografiche dei luoghi e dalle risultanze planimetriche esibite, negando in proposito la decisività, e perciò la rilevanza, dei capitoli di prova richiesti dagli appellanti.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso principale, dichiarando assorbito quello incidentale e condannando i ricorrenti principali a rimborsare, alla controricorrente, le spese sostenute nel giudizio, liquidate in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

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