Lavori & Tecnologie

Tettoia, pergotenda o elemento di arredo urbano?

di Donato Paolombella


Il caldo estivo continua a farsi strada ed i raggi solari, a detta degli esperti, si fanno sempre più pericolosi. E' ovvio che tutti cerchino di trovare un rimedio istallando condizionatori, tende e strutture di vario genere sempre più moderne, ibride, e di difficile collocazione all'interno del codice. A quanto pare chi cerca di sfuggire alla calura deve affrontare, in primo luogo, i problemi tecnico-amministrativi legati alla realizzazione delle opere di mitigazione. Nelle aule dei Tribunali, con sempre maggior frequenza, si discute della necessità di premunirsi di un titolo edilizio prima di posizionare tende, tettoie e pergotende. Nel caso in esame si discute della legittimità di un manufatto in metallo, aperto su tutti i lati, dotato di una tettoia in lamelle movibili elettricamente. Il Consiglio di Stato chiarisce a quali condizioni tale manufatto possa rientrare nell'edilizia libera.

L a struttura in metallo
I proprietari di una unità immobiliare prospiciente un corte interno installano, innanzi al proprio portone carrabile, una struttura metallica aperta su tutti i lati che ospitava, nella parte superiore, delle aste in alluminio frangisole motorizzate, capaci di aprirsi e chiudersi a farfalla. La Polizia municipale qualifica il manufatto come "costruzione di una tettoia per posti auto" che ritiene illegittima perché realizzata in assenza di titolo edilizio. Il Comune, sulla base del verbale dei Vigili, ordina la demolizione della "tettoia per posti auto con struttura portante in metallo" perché asseritamente abusiva.

I proprietari: si tratta di arredo urbano
I proprietari impugnano il verbale dei Vigili e la conseguente ordinanza di demolizione. I Vigili, nell'effettuare le operazioni di verifica - a cui i proprietari non sarebbero stati chiamati a partecipare - erano caduti in errore ritenendo che il manufatto fosse una "tettoia per posti auto"; in realtà, si trattava di un semplice elemento di arredo urbano, da realizzare in regime di "edilizia libera", in quanto non determinava né volumi chiusi, né aumentava la superficie utile. Contestano la legittimità dell'ordinanza che avrebbe violato l'art. 27, comma 4, del Dpr 380/2001; tale norma prescrive che "gli … agenti di polizia giudiziaria, ... in ... caso di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione … al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti".
In sostanza, ritengono le opere del tutto legittime e si dolgono perché il dirigente del comune non avrebbe effettuato le verifiche necessarie a stabilire la infondatezza del verbale dei Vigili.

Il giudizio del TAR: occorre la SCIA
Il TAR Trieste, con la sente. n. 220/2017, respinge la tesi dei proprietari che qualificavano il manufatto come "arredo urbano" ritenendo che l'intervento edilizio fosse soggetto a SCIA. I proprietari non si arrendono e sottopongono la questione al Consiglio di Stato confermando la propria tesi: i Vigili sarebbero incorsi in un errore madornale! L'opera non sarebbe una "tettoia" destinata al ricovero delle auto, bensì un elemento di arredo urbano, una "pergotenda", incapace di determinare volumi chiusi e/o aumento della superficie utile, essendo aperta su tutti i lati; le lamelle site nella parte superiore, d'altro canto, erano usualmente in posizione verticale e quindi, la struttura sarebbe stata apertura anche verso l'alto. Il manufatto, inoltre, sarebbe stato collocato all'esterno del cancello di ingresso della abitazione, dal quale evidentemente si deve poter accedere e recedere liberamente, il che escludeva che l'opera fosse destinata al ricovero delle vetture.

Il parere del Consiglio di Stato
La Sez. VI del Consiglio di Stato, con la sent. n. 4177 del 9 luglio 2018, chiamata a stabilire se l'opera debba essere qualificata come "tettoia per posti auto" ovvero come "elemento di arredo", propende per la seconda soluzione e, conseguentemente, ribalta l'esito del giudizio. Secondo il giudice d'appello nella vicenda in esame non è ravvisabile né il contestato illecito edilizio formale (omesso conseguimento del prescritto titolo abilitativo), né il contestato illecito edilizio sostanziale (non conformità dell'opera con la disciplina urbanistica). L'opera, per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, avrebbe dovuto essere qualificata come "elemento di arredo urbano" destinato alla migliore fruizione dello spazio esterno ricadendo, quindi, nell'ambito della edilizia libera.

Irrilevante l'ancoraggio al suolo
Secondo il Consiglio di Stato la circostanza che il manufatto sarebbe ancorato al suolo risulterebbe del tutto irrilevante in quanto l'ancoraggio è necessario per evitare che l'opera, soggetta all'incidenza degli agenti atmosferici, si traduca in un elemento di pericolo per la privata e pubblica incolumità. Esclude che il manufatto possa essere qualificato come una "nuova costruzione" soggetta al titolo edilizio in quanto non avrebbe comportato una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio. Il giudice d'appello valorizza la circostanza che l'opera, aperta su tutti e quattro i lati e con copertura retrattile, non crei alcun nuovo volume o superficie.

Non si tratta si una "ristrutturazione edilizia"
Il manufatto non potrebbe essere qualificato come una "ristrutturazione edilizia" che - ai sensi dell'articolo 3, lettera d, del TUE - comporta una "trasformazione dell'organismo edilizio" non riscontrata nel caso in esame in cui la struttura in alluminio non incide minimamente sul corpo di fabbrica preesistente. E' evidente che la struttura, con le aste frangisole motorizzate, mira a proteggere dal sole consentendo una migliore fruizione del cortine interno, la cui destinazione d'uso resta immutata.

Perché l'opera è legittima
In sostanza, il Consiglio di Stato ritiene che l'opera debba essere qualificata come un elemento di arredo urbano funzionale alla fruizione del cortile interno della proprietà e, come tale, sia del tutto legittima in quanto la struttura non comporta né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione di un nuovo organismo edilizio; non altera il prospetto o la sagoma dell'edificio, non modificare la destinazione d'uso degli spazi interni. Inoltre, essa sarebbe facilmente e completamente rimovibile.

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