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Anche il soppalco deve rispettare l'altezza minima

di Donato Palombella


Lo spazio, in casa, non basta mai così, a volte, si cerca di "espandere gli spazi" realizzando un soppalco che, tra l'altro, può rappresentare anche una valida soluzione dal punto di vista architettonico. Innegabilmente il soppalco non comporta un aumento di cubatura ma, semplicemente, di superficie utile. Il regime dell'opera cambia in relazione all'utilizzo: residenziale o deposito.

Il caso in esame
Il proprietario di un appartamento impugna l'ordinanza con cui il Comune aveva disposto la demolizione di un soppalco realizzato all'interno dell'unità immobiliare. Il manufatto, secondo l'amministrazione comunale, non solo sarebbe stato realizzato in assenza di un titolo edilizio, ma, per di più, non rispetterebbe il Regolamento edilizio comunale. In particolare, il "soppalco incriminato" sarebbe stato realizzato con un'altezza utile inferiore a quella prescritta (pari a 2,40 m). Di contro, il proprietario ritiene che l'opera sia in regola e che il provvedimento impugnato sia illegittimo in quanto sarebbe stata presentata domanda di condono ex legge 326/2003; quanto all'altezza utile, ritiene che l'altezza minima indicata (ovvero i 2,40 m.) non sarebbe applicabile al caso in esame in quanto l'opera veniva utilizzata come "deposito".

Il parere del TAR
La Sezione IV del TAR Napoli, con la sentenza n. 3448 del 25 maggio 2018, ritiene che il ricorso non possa essere accolto. La mera realizzazione dell'opera in assenza del prescritto titolo edilizio potrebbe, in linea di principio, essere sanata mediante la presentazione della domanda di condono; il problema dell'altezza minima prevista dal Regolamento edilizio, invece, sarebbe un punto critico insuperabile anche perché la violazione sarebbe in grado di incidere sull'agibilità dell'immobile.

2,40 metri per il soppalco abitabile
Il TAR ricorda che il Dm 5 luglio 1975, modificato dal Dm 9 giugno 1999, nonché dell'art. 43, comma 2, lett. 13) della legge 457/1978, prevede che l'altezza netta degli ambienti abitativi e dei vani accessori delle abitazioni non debba essere inferiore, rispettivamente, a 2,70 metri e 2,40 metri. Tali prescrizioni venivano espressamente richiamate e fatte proprie dall'art. 15, comma 2, del regolamento edilizio. Di conseguenza, il soppalco doveva essere considerato "abusivo" in quanto non rispettava le altezze minime previste dalle norme nazionali nonché dal Regolamento edilizio. Il TAR sottolinea, al riguardo, che "non è consentita l'edificazione di manufatti che violino strutturalmente la normativa edilizia, specialmente se trattasi di regole relative all'abitabilità degli ambienti".

1,80 metri per i depositi
Il Regolamento edilizio, nel caso in esame, prevedeva la possibilità di realizzare soppalchi con altezza utile di 1,80 metri ma solo ove essi fossero destinati a "deposito" e a condizione che l'altezza utile dei locali sottostanti non fosse inferiore a 2,70 m.etri. Nel caso in esame dalla relazione di sopralluogo della Polizia Giudiziaria risultava che nel soppalco erano state realizzati dei vani a destinazione abitativa, nonché due wc, prova evidente che non si trattava di un "deposito".

Secondo la giurisprudenza, serve il PdC?
Secondo la giurisprudenza amministrativa, i soppalchi possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire, in quanto qualificabili come interventi di restauro o risanamento conservativo, solo qualora siano di modeste dimensioni e non appaiano idonei a creare un ambiente abitativo (per esempio: uso deposito, sbratto o ripostiglio) (Consiglio di Stato, sent. 2 marzo 2017, n. 985; TAR Lazio, Roma, Sezione I quater, sent. 24 marzo 2015, n. 4495; TAR Campania, Napoli, Sezione IV, sent. 23 gennaio 2013, n. 413 e Sezione VII, sent. 14 gennaio 2011, n. 168).
La realizzazione di un soppalco rientra negli interventi di ristrutturazione edilizia, qualora determini una modifica della superficie utile dell'appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico (TAR Sardegna, Cagliari, Sezione II, sent. 23 settembre 2011, n. 952; TAR Lombardia, Milano, Sezione II, sent. 11 luglio 2011, n. 1863; TAR Campania, Napoli, Sezione II, sent. 21 marzo 2011, n. 1586).

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