Lavori & Tecnologie

Possiamo "chiudere" la tettoia per evitare le infiltrazioni?

di Donato Palombella


Il giudice amministrativo viene chiamato a decidere sulla legittimità della "chiusura" di alcune tettoie. Le opere, secondo i proprietari, sarebbero state realizzate per impedire le continue infiltrazioni di umidità ai piani sottostanti.

Il ricorso al TAR
I proprietari di un immobile chiedono al TAR di annullare la determinazione dirigenziale con cui Roma Capitale aveva ingiunto la rimozione di alcune opere abusive consistenti nella tamponatura di due tettoie preesistenti, rispettivamente di 13,62 mq e di 10,53 mq. Le opere, secondo l'amministrazione, dovevano essere considerate abusive in quanto erano state realizzate in assenza del permesso di costruire e avevano comportato un incremento della volumetria complessiva dell'unità abitativa, creando un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche o di utilizzazione.

Le difese della proprietà

Secondo i proprietari le tettoie, anche se realizzate in assenza di un titolo edilizio, erano state comunque sanate; i lavori asseritamente abusivi, poi, lungi dal creare un incremento della volumetria della propria unità immobiliare, erano stati resi necessari per evitare le continue infiltrazioni di umidità lamentate dal proprietario dell'appartamento sottostante. I lavori, in realtà, avevano comportato la realizzazione di volumi assai modesti, e, al momento del sopralluogo dei vigili tecnici, erano stati realizzati da almeno un decennio. In altre parole, i proprietari non contestano di aver realizzato un abuso ma cercano di sostenere che le opere, oltre ad essere datate nel tempo, sarebbero di modesta entità.

Il parere del TAR
La Sezione II-bis del TAR Roma, con la sentenza n. 5691 del 6 aprile 2018, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il successivo 22 maggio accoglie la tesi dell'amministrazione.
Il giudice amministrativo, in primo luogo, mette i "puntini sulle i". L'abuso nasce con la illegittima realizzazione delle tettoie in aderenza al un immobile, anch'esso abusivo, condonato nel 2003. La "chiusura" delle tettoie aveva prodotto un duplice abuso ovvero la realizzazione di un nuovo volume in ampliamento a quello preesistente, nonché una modifica della sagoma del fabbricato. Ma in cosa consiste l'abuso? La realizzazione della tettoia, di per se, comporta la realizzazione di superficie accessoria; la "chiusura" della tettoia, poi, comporta la trasformazione della "superficie accessoria" in "superficie utile". La realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile determina un aumento del carico urbanistico indipendentemente dai materiali utilizzati e dal modesto incremento di superficie.

Il nuovo glossario
L'occasione permette di "fare pratica" con le nuove definizioni contenute nel glossario: superficie accessoria; superficie utile; sagoma.
Relativamente ai sottotetti (e, si crede, relativamente alle tettoie) il glossario definisce superficie accessoria (SA) quella superficie accessibile e praticabile per la sola porzione con altezza pari o superiore a m 1,80.
S'intende, per superficie utile (SU) la superficie di pavimento degli spazi di un edificio misurata al netto della superficie accessoria e di murature, pilastri, tramezzi, sguinci e vani di porte e finestre.
Per "sagoma" s'intende la conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l'edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.

Necessario il permesso di costruire
Il TAR legittima il provvedimento dell'amministrazione sottolineando che i lavori avrebbero comportato la necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire. Del resto, secondo la costante giurisprudenza amministrativa " la tamponatura… di una precedente tettoia con conseguente realizzazione di una veranda e correlato aumento di volumetria deve essere qualificata, ai sensi dell'art. 3, Dpr 380/2001, come ristrutturazione edilizia in quanto essa comporta, in conseguenza dell'aumento di volumetria correlata, la realizzazione di un organismo diverso dal precedente per struttura e destinazione. L'intervento in questione, secondo quanto previsto dall'art. 10, Dpr 380/2001, deve essere assentito con permesso di costruire nella fattispecie non conseguito dall'interessato, il che comporta la legittimità della prescrizione demolitoria irrogata con il provvedimento impugnato" (TAR Lazio, Roma, Sez. I, sentenza 5 novembre 2013, n. 9385 e sentenza 28 agosto 2015, n. 10957).

Il decorso del tempo
Quanto al decorso del tempo tra la data di realizzazione dell'opera abusiva e il provvedimento di demolizione, il TAR richiama la consueta giurisprudenza in virtù della quale "il decorso del tempo non può incidere sull'ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito attraverso l'adozione della relativa sanzione. Deve, quindi, conseguentemente essere escluso che l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata" (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 26 marzo 2018 n. 1893). Per inciso, il lungo decorso del tempo potrebbe essere preso in considerazione solo ove la situazione del privato si sia ormai consolidata (cosiddetto principio di affidamento), nonché quando non sussista un prevalente interesse pubblico alla rimozione dell'intervento. Peraltro l' Adunanza Plenaria (n. 9/2017) ha stabilito che "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo ..., per la sua natura vincolata ..., non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso". Ciò in quanto il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27 marzo 2017, n. 1386 e senrtenza 6 marzo 2017, n. 1060).

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