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L’abuso edilizio non si prescrive

di Guglielmo Saporito

Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria interviene sulla repressione degli abusi edilizi, allontanando le speranze di chi confidava in una sanatoria di fatto per il solo trascorrere di diversi decenni dall'abuso. Le sentenze del 17 ottobre n. 8 e n. 9 eliminano la possibilità che una lunga inerzia dei Comuni, o una serie di successive vendite, possano aver peso. In questo modo si restituiscono al legislatore ed alle amministrazioni comunali ampi poteri di intervento sugli abusi, anche se non necessariamente con sistemi demolitori.

Di fatto, i giudici indeboliscono solo la difesa dei proprietari che si fondava sul decorso del tempo, sull' “affidamento incolpevole” e sullo stratificarsi di titoli di proprietà. Nel caso deciso dalla pronuncia 9/2017 si discuteva di un edificio realizzato nel Comune di Fiumicino oltre 30 anni prima dell'ordinanza di demolizione: l'ultimo proprietario confidava appunto sulla prescrizione, che i giudici hanno escluso in quanto si discuteva di tutela del territorio.

Una sorte analoga (sentenza 8/2017) riguarda il proprietario di un edificio nel Comune di Giovinazzo (Bari) che nel 1999 aveva trasformato in bar un locale destinato al custode di un impianto industriale, grazie ad una falsa dichiarazione. La falsità aveva causato l'annullamento della trasformazione edilizia (da alloggio in pubblico esercizio), a distanza di decenni dall'abuso anche se poco tempo dopo l'accertamento della falsità della dichiarazione del privato. Secondo i giudici, quando nel 1999 il Comune barese aveva emesso il proprio provvedimento favorevole al privato stesso, incorrendo in errore causato dal privato, non era a conoscenza della falsa dichiarazione e quindi non era in grado di reprimere l'abuso. La falsità era emersa solo decenni dopo, ed era stata subito sanzionata annullando il titolo fraudolentemente ottenuto. In questo caso, secondo i giudici va tenuto presente che il Comune non si è trovato dinanzi un abusivismo integrale, che poteva subito reprimere, ma era stato indotto in errore consentendo l'apertura del bar. Una volta emerso l'errore, il Comune avrebbe dovuto sanzionare l'abuso in un tempo ragionevolmente breve. Ciò perché vi deve essere un adeguato interesse pubblico all'eliminazione della situazione illegittima, cioè si deve intervenire con rapidità per evitare il consolidarsi di situazioni.

Ma rapidità, secondo la Plenaria, non significa necessariamente rispettare il termine di 18 mesi (articolo 21 nonies, legge 241/1990), bensì quello decennale previsto ad esempio dall'articolo 39 del Dpr 380/2001, con momento iniziale coincidente con la scoperta della falsità commessa dal privato.

Con queste precisazioni, spetta ora al legislatore (disegno di legge Falanga ed altri) governare l'abusivismo senza che siano eccepibili posizioni consolidate; anche i Comuni potranno graduare piani di recupero o altri sistemi di intervento, poiché il Consiglio di Stato ha azzerato il rilievo di pluridecennali, diffuse omissioni.

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