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Lastrico solare, il permesso edilizio va sempre rispettato

di Matteo Rezzonico

Per il Consiglio di Stato ( sentenza 30 marzo 2017, numero 1484), costituisce variazione essenziale (e non semplice variante in corso d'opera) – che comporta la demolizione dell'opera e il ripristino e non può essere oggetto di sanatoria – la realizzazione, da parte di un condòmino, in un immobile soggetto a vincolo storico/artistico, di un lucernaio al posto dei due previsti nel progetto assentito dal Comune. Questo in sintesi, il contenuto della sentenza 1484, in commento, che si è occupata di una complessa fattispecie avente ad oggetto l'impugnazione, avanti il Tar, di quattro distinti atti, tutti riguardanti il medesimo intervento edilizio operato all'ultimo piano e sul lastrico solare di un condominio.
Tralasciando le questioni di diritto privato, riguardanti il condominio e l'uso delle parti comuni, nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, un condomino proprietario di due appartamenti siti al quinto piano e titolare dell'uso esclusivo della sovrastante terrazza lastrico - siti in uno stabile soggetto a vincolo storico artistico, a norma del Decreto Legislativo 42/2004 - aveva realizzato (nell'ambito di lavori di rifacimento della pavimentazione, di restauro del parapetto, di sostituzione della preesistente tettoia) un unico grande lucernaio rettangolare con lati di 6 metri x 3, (di quasi 18 mq) al posto dei due autorizzati, ognuno dei quali della forma di un quadrato di lato 3 m. Senonchè, tale apertura - collocata in posizione diversa rispetto a quanto originariamente assentito dal titolo ed emergendo dal piano di calpestio del terrazzo per circa un metro - comportava una diversa distribuzione delle luci e delle vedute, a cui, conseguiva la modifica della sagoma dell'edificio. In tale contesto, il Comune di Napoli – negando la chiesta sanatoria – aveva eccepito la violazione dell'art. 66 delle norme di attuazione del piano regolatore del Comune di Napoli, in quanto il lucernario superava i limiti dimensionali massimi ivi previsti (un metro quadrato di apertura e 80 cm di emersione dal piano di calpestio), con conseguente applicazione della “sanzione ripristinatoria”, ai sensi dell'art. 33 del Decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001. Avanti il Tar, la Disposizione Dirigenziale del Comune era ritenuta legittima. Dal che, il ricorso del condomino al Consiglio di Stato. Per il condomino, infatti, l'intervento difforme rispetto a quello assentito con l'autorizzazione edilizia, non configurava “variazione essenziale”, con conseguente inapplicabilità della sanzione demolitoria.
Il Consiglio di Stato – confermando la sentenza del Tar - ha chiarito che la disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni contempla tre fattispecie ordinate secondo la gravità dell'abuso: l'ipotesi degli interventi in assenza di permesso o in totale difformità (dal permesso); quella intermedia, delle variazioni essenziali dal titolo edilizio; e quella residuale della parziale difformità dal titolo. In particolare, per l'art. 31 del Testo Unico Edilizia, (DPR 380 del 2001), l'assenza di permesso consiste nella sua insussistenza oggettiva per l'opera autorizzata. Accanto al caso del permesso mai rilasciato, vi sono i casi nei quali il titolo è stato rilasciato, ma è privo (o è divenuto privo) di effetti giuridici. L'art. 31 del Testo Unico Edilizia prevede anche una figura di mancanza sostanziale del permesso, che si verifica quando vi è difformità totale dell'opera rispetto a quanto previsto nel titolo. Si ha difformità totale, quando viene realizzato un organismo edilizio: - integralmente diverso per caratteristiche tipologiche architettoniche ed edilizie; - integralmente diverso per caratteristiche planovolumetriche, e cioè nella forma, nella collocazione e distribuzione dei volumi; - integralmente diverso per caratteristiche di utilizzazione (la destinazione d'uso derivante dai caratteri fisici dell'organismo edilizio stesso); - integralmente diverso perché comportante la realizzazione di nuovi ed autonomi volumi. Accanto alle forme di abuso appena ricordate, l'art. 32 del Testo Unico Edilizia - così come in precedenza l'art. 7, comma 2, della legge n. 47 del 1985 (ora abrogato) - regola la fattispecie dell'esecuzione di opere in “variazione essenziale” rispetto al progetto approvato. Tale tipo di abuso è parificato, quanto alle conseguenze, al caso di mancanza di permesso di costruire e di difformità totale, (salvo che per gli effetti penali più lievi).
Si legge nella sentenza del Consiglio di Stato 1484/2017: «ai fini sanzionatori, per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, va senz'altro disposta la demolizione delle opere abusive; per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la legge prevede la demolizione, a meno che, non potendo essa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, debba essere applicata una sanzione pecuniaria…Per questo è stata introdotta una soglia minima di rilevanza delle difformità parziali, che è esclusa “in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali». Senonchè – precisa il Consiglio di Stato – il principio non si estende agli interventi sugli immobili “vincolati” eseguiti in difformità dalle autorizzazioni rilasciate ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (cfr. articolo 32, ultimo comma, T.U.Edilizia).

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