Lavori & Tecnologie

Il cambio di destinazione d'uso senza i permessi è un reato

di Matteo Rezzonico

Si ha cambio di destinazione d'uso - rilevante a fini urbanistico/amministrativi - anche in caso di realizzazione di opere interne e di predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia, all'interno di un vano autorizzato come “vuoto tecnico”. Ed infatti, tale tipologia di intervento, fa ritenere la destinazione abitativa dell'immobile. Questo in sintesi, il contenuto della sentenza della Cassazione Penale 30 agosto 2016, numero 36563, che si è occupata di un sottotetto, posto in un condominio, risultato - nonostante la destinazione a “vuoto tecnico”, (cioè sostanzialmente a solaio) – suddiviso in più ambienti, compreso il bagno, (ricavato mediante collocazione di una parete in cartongesso); arredato; munito di radiatori per il riscaldamento; di prese di corrente per i punti luce e per la televisione, nonché di porta blindata e di videocitofono. In tale contesto, il proprietario del solaio è stato condannato a 10 giorni di reclusione, oltre ad Euro 5.600,00 di ammenda, per la trasformazione del solaio, senza preventiva richiesta di permesso di costruire.
Per l'articolo 44, comma 1, lettera b, del Decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001, (Testo Unico Edilizia), infatti, “salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:…l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 10328 a 103290 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione”.
A nulla è valsa la difesa del proprietario/imputato, che ha, tra l'altro, eccepito: 1) la mancata prova dell'utilizzo, (“certo, effettivo e concreto”), del solaio come unità abitativa; 2) la mancata prova che il proprietario fosse consapevole dell'esecuzione delle opere contestate, essendo l'alloggio detenuto dall'inquilino.
Senonchè, per l'articolo 23 ter, comma 1, del richiamato DPR 380/2001, “salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorchè non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purchè tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”. Il successivo comma 2, dell'articolo 23 ter, precisa che la destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.
E, dunque, per la Cassazione, non poteva che applicarsi la consolidata giurisprudenza secondo cui, l'accertamento del mutamento di destinazione d'uso per difformità totale rispetto al titolo abilitativo, si verifica - nel caso di lavori in corso d'opera - sulla base dell'individuazione di elementi univocamente significativi, propri del diverso uso cui l'opera è destinata, (cioè abitativa/residenziale), e non invece coerenti con l'originaria destinazione (cioè solaio/vuoto tecnico).
In particolare, per la Suprema Corte, la modifica della destinazione d'uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne, così come esemplificativamente la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia all'interno di un vano autorizzato come “vuoto tecnico”, in quanto tale tipologia di intervento costituisce circostanza idonea per ritenere la destinazione abitativa dell'immobile. Si legge nella sentenza della Corte di Cassazione 36563 in commento: «…la sentenza di appello facendo buon governo dei principi che precedono - ha riconosciuto la fattispecie contestata proprio nell'immobile di proprietà del B., che - sottotetto in un condominio - era risultato suddiviso in più ambienti (compreso il bagno), giusta una parete in cartongesso, arredato, munito di radiatori, di prese per corrente, televisive e punti luce, nonchè di porta blindata e videocitofono. Elementi oggettivi…in forza dei quali la sentenza ha riconosciuto l'avvenuto mutamento della destinazione d'uso e, pertanto, la violazione dell'art. 44, lett. b) contestato; e senza che, pertanto, possa accedersi alla generica doglianza secondo cui non vi sarebbe prova di un “utilizzo certo, effettivo e concreto dell'immobile”, risultando invece questo…dagli esiti del sopralluogo della Polizia municipale… Ancora, la Corte di appello - nuovamente con argomento congruo e privo di qualsivoglia illogicità, quindi non censurabile - ha ricavato l'elemento soggettivo del reato dall'interesse che il ricorrente aveva ad intervenire sull'immobile nei termini suddetti, sì da aumentarne il valore commerciale; come confermato, peraltro, dalla ulteriore considerazione per cui il canone locatizio (250 Euro per 40 mq., come specificato nel gravame) sarebbe risultato eccessivo se riferito - come il contratto vorrebbe - ad un mero locale di servizio, non anche con riguardo ad un piccolo, ma completo appartamento».

valido il voto favorevole espresso dal rappresentante di condominio - che in precedenza aveva rassegnato le dimissioni dalla carica di amministratore - per la nomina dell'amministratore del supercondominio. Il primo, infatti, agisce in regime di prorogatio imperii, disciplina applicabile anche al supercondominio.
Lo ha deciso il Tribunale di Milano con la sentenza n. 5602 del 4 maggio 2016. La vicenda ha inizio con l'impugnazione, da parte di tre condomini, della delibera di nomina dell'amministratore del supercondominio, votata durante un'assemblea alla quale aveva partecipato anche il loro ex amministratore, dimessosi dall'incarico poco tempo prima.
Il supercondominio ha risposto rivendicando la validità del voto, in quanto il rappresentante avrebbe agito in regime di prorogatio imperii. Gli attori citano allora l'art 67 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile, secondo cui la figura del rappresentante di condominio è soggetta alla disciplina del mandato, che non contempla la prorogatio, sicché l'ex amministratore avrebbe agito in carenza di potere.
Il Tribunale ha dato ragione al supercondominio, accogliendo la tesi della prorogatio e facendo notare che già la stessa Cassazione, con la sentenza n. 18660 del 30 ottobre 2012, aveva osservato come “In tema di condominio negli edifici, la prorogatio imperii dell'amministratore - che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell'interesse del condominio alla continuità dell'amministratore - si applica in ogni caso in cui il condominio rimanga privo dell'opera dell'amministratore e, quindi, non solo nelle ipotesi di scadenza del termine di cui all'art. 1129, secondo comma, cod. civ. o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca e annullamento per illeggitimità della delibera di nomina”.
Il principio è valido anche per l'amministratore di condominio la cui nomina sia stata dichiarata invalida, che “continua ad esercitare legittimamente, fino all'avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza, anche processuale, dei comproprietari, rimanendo l'accertamento di detta prorogatio rimesso al controllo dell'ufficio del giudice e non soggetto ad eccezione di parte, in quanto sia interinale alla regolare costituzione del rapporto processuale”. La normativa condominiale, inoltre, estende al rappresentante del condominio la disciplina del rapporto di mandato e quindi la prorogatio è applicabile anche a tale soggetto, così come avviene per l'amministratore di condominio.

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