Lavori & Tecnologie

Se il negozio è «prospiciente» alla strada non può diventare abitazione

di Jada C. Ferrero e Silvio Rezzonico


Tutta giocata sul concetto di “prospicienza” una recente causa al Consiglio di Stato (n. 5084/2015 depositata il 9 novembre 2015), in cui il proprietario dei muri di un ex negozio nei vicoli di Varigotti, dopo aver ricevuto un diniego dal Comune a trasformare l'immobile in abitazione, era ricorso prima al Tar e poi al Cds, rimanendo soccombente nei due gradi di giudizio.
Il locale, circa 60 mq, è affacciato su un cortile di dimensioni analoghe, in una zona che il Puc di Finale Ligure inquadra come “ambito di conservazione e riqualificazione”: qui le Nta ammettono sì le ristrutturazioni, ma vietano il cambio di destinazione d'uso da commerciale a residenziale, però esclusivamente nei “locali a piano terreno prospicienti su aree o spazi pubblici”. La ratio della regola sta nella volontà dell'amministrazione di preservare dalla desertificazione il tessuto commerciale del borgo turistico, dove è accentuato il fenomeno della trasformazione dei negozi in case.
Secondo il proprietario, i muri dell'ex negozio non erano “prospicienti” la pubblica via, con la quale l'immobile confinava solo per il tramite del cortile, a sua volta confinante a sud con la viabilità pubblica e, ai lati, con la proprietà di terzi, senza essere gravato da alcuna servitù pubblica o di pubblico passaggio.
Secondo i giudici di primo e secondo grado, il muro era, invece, prospiciente. Infatti, non essendo una corte interna dell'edificio dove c'era il negozio, ma la porzione di stacco tra il fabbricato e la pubblica via, il cortile doveva ritenersi sottoposto all'uso collettivo libero.
Già a detta del Tar, sebbene l'immobile in questione fosse privato, e confinasse, ma non prospettasse su uno spazio pubblico, le norme del Puc non avrebbero comunque consentito la funzione residenziale invocata. Il proprietario ha cercato di far valere le proprie ragioni insistendo sul fatto che il cortile era sempre stato privato, e mai era stato gravato da alcuna servitù: al massimo lo usavano i clienti del negozio.
Secondo i giudici di entrambi i gradi, invece, il cortile consentiva il comodo accesso a chiunque, non era limitato quale mera pertinenza ai soli proprietari dello stabile o ai soli clienti. Pertanto, di fatto, era sottoposto al libero uso collettivo, il che rappresenta “un asservimento di area privata che non può esser confuso con quello delle strade private soggette alla servitù di passaggio propriamente detta”.
Centrale, dunque, la questione della “prospicienza”. Secondo i giudici del Consiglio di Stato, “è innegabile che detto negozio sia “prospiciente”, perché s'affaccia, guarda e prospetta sulla pubblica via senza alcuna barriera materiale interposta che escluda o limiti tutte o alcune di tali attività, sì da consentire al proprietario di guardare ed affacciarsi comodamente sulla strada e di vederla senza usare strumenti artificiali ed in tutte le direzioni che la linea d'orizzonte consente”.
D'altro canto, contro la tesi del proprietario, il Collegio ha affermato che “affaccio e prospetto non sono sinonimi di adiacenza, tant'è che, a seconda della conformazione fisica della veduta, la prospectio e l'inspectio si possono protendere al di là del fondo attiguo (o adiacente, che dir si voglia) e spaziare oltre, negli ovvi limiti della comodità della persona normale e senza l'ausilio di strumenti anomali”.

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