Lavori & Tecnologie

Per i «velux» non valgono le regole sulle distanze minime tra finestre

di Jada C. Ferrero e Silvio Rezzonico

Tra vicini, i lucernari “velux”, tipici delle mansarde, con aperture a bilico sui tetti, non “valgono” come finestre, nell'ottica dell'art.9 del Dm 1444/1968 che fissa la distanza minima obbligatoria fra “pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”. Il principio emerge da una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 4628 del 5 ottobre 2015) in cui due privati soccombono in una causa che li contrapponeva a un Comune del Veronese e ai proprietari di una costruzione contigua alla loro, una casa di riposo, che era appena stata sopraelevata.
Nel caso affrntato dal Consiglio di Stato la proprietà dei due vicini – abitazioni distinte ricavate nel 1998 dalla ristrutturazione di un rustico con portico e sovrastante fienile, con tetto munito di sette lucernari – confina, anzi, ha pareti aderenti a un edificio di proprietà di una casa di riposo, che si erge sopra il colmo del loro tetto di circa un paio di metri, sicché i loro ambienti del primo piano devono prendere aria e luce dai sette lucernari velux che si aprono sul tetto.
Nel 2005 il Comune rilascia all'istituto il permesso di trasformare la costruzione – ex alloggi delle suore – con lavori di adeguamento che implicano la sopraelevazione di 4-5 metri, a partire dal colmo del tetto dell'adiacente fabbricato. I due vicini lamentano allora perdita di aria e luce negli ambienti al primo piano e ricorrono contro la concessione edilizia e il cambio di destinazione d'uso al Tar del Veneto, che nel 2005 respinge il ricorso. Nemmeno il Consiglio dello Stato dà loro ragione: i lucernari non danno luogo a pareti finestrate ai fini delle distanze di legge. Un tetto “dotato di aperture lucifere” non vale come parete finestrata. Insomma, i velux non possono qualificarsi come “veduta” così come la definisce l'articolo 900 del codice civile; sono semplici luci in quanto permettono il solo passaggio dell'aria e della luce “non consentendo né di affacciarsi sul fondo del vicino (prospectio) né di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente (inspectio)”.
In particolare, la norma di cui al Dm 1444/68 fissa la distanza minima che deve intercorrere tra “pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”. Sul piano formale, quindi, la legge fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere, secondo l'univoco e costante insegnamento della giurisprudenza, unicamente “le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci”.
Nel caso di specie i due proprietari hanno provato ad invocare, ma senza successo, anche altre disposizioni del Dm 1444/68 nonché la legge regionale veneta che promuove il recupero dei sottotetti (Lr 12/1999), nel cui ambito è imposto un particolare rapporto aeroilluminante. Invano. “Si tratta – motiva il Cds in sentenza - di disposizioni preordinate a garantire luce ed aria ai sottotetti resi abitabili e non ad introdurre normativamente nuove tipologie di vedute in aggiunta a quelle codicistiche”. Nemmeno è valso fare riferimento alle norme tecniche d'attuazione del piano regolatore comunale: nella specie infatti, le Nta, in alternativa al rispetto della distanza di 5 metri dal confine, ammettono la costruzione in contiguità con il confine stesso, indipendentemente dal fatto che l'edificio sia costruito in aderenza rispetto ad un preesistente edificio di proprietà di altro soggetto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©