Fisco

Il superbonus nella comunione non è sempre necessario

La convenienza economica per uno dei comunisti può tradursi in un pregiudizio per l’altro

di Rosario Dolce

La mera convenienza economica di un intervento su un bene immobile alla stregua del superbonus non lo rende, di per sé, necessario secondo la previsione dell'articolo 1105 Codice civile. Il principio inedito è stato appena espresso dal Tribunale di Perugia, giurisdizione volontaria, con decreto numero 50 del 22 marzo 2022 che avviene nell'ambito di un immobile in comunione ereditaria.

La vicenda
Il caso da cui si origina il procedimento discende dalla iniziativa di un comproprietario della – così definita - “casa coloniale” e/o unità collabente. L'intento di quest’ultimo – che si era rivolto al decidente locale dopo aver vanamente provocato la costituzione di un'assemblea della comunione - era (anche) quello di provvedere, a proprie spese e senza oneri per l'altro comproprietario, all'avvio delle pratiche di accesso ai benefici fiscali del superbonus e dell' ecobonus. Detta casa colonica, a parere del ricorrente, per quanto vetusta e non utilizzata a fini abitativi, necessitava di interventi urgenti di manutenzione straordinaria al fine di prevenirne il degrado e renderla abitabile. Per quanto qui di rilievo la richiesta formulata da parte del predetto comunista è stata però bocciata.

La modifica della destinazione d’uso
A tal uopo, il giudice ha fatto riferimento alle relazioni tecniche versate in atti dalle parti del procedimento, dalla quali si evinceva che il fabbricato in comunione era stato già oggetto di precedenti interventi di manutenzione straordinaria, pure rilevando come i dedotti necessari e ulteriori interventi di manutenzione straordinaria e consolidamento sismico avrebbero avuto il fine «di rendere l’immobile abitabile».In questi termini, secondo il giudice collegiale non sussistevano quelle «ragioni di necessità» richieste dalla norma in questione: dal momento che gli interventi addotti avrebbero avuto non tanto la funzione di conservare uno stato di fatto o impedire, ad esempio, il degrado del bene, quanto quella, esclusivamente, di apportare migliorie e finanche modificarne la destinazione d'uso del bene (rendendo un immobile collabente in una unità abitativa con alta efficienza sismica ed energetica).

Anzi, sotto questo profilo - secondo la ricostruzione offerta dal giudice umbro - l'aumento del valore venale dell'immobile avrebbe avuto come effetto inverso quello di sfavorire sul piano patrimoniale l'altro erede. Infatti: «i lavori che il ricorrente vorrebbe eseguire e che potrebbero avere per lui una convenienza di tipo economico, si potrebbero invece tradurre in un potenziale pregiudizio per l'interesse di fatto della comproprietaria, per via dell'aumento di valore – e conseguenti conguagli - del bene che in sede di divisione le verrebbe con tutta probabilità assegnato». Da qui, la conclusione per cui: «la mera convenienza economica di un intervento su un bene immobile non lo rende, di per sé, necessario».

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