Fisco

Via il superattico se crea una «disarmonia architettonica»

di Anna Nicola

La voglia di allargarsi è sempre forte in condominio: un condomino, per esempio, mette mano a un piccolo ripostiglio situato sul terrazzo per creare un superattico, grazie anche alla creazione di un aumento di volumetria della copertura situata su una più ampia porzione del lastrico solare.

L’assemblea
L'assemblea, al momento di concedere l'autorizzazione alla trasformazione del ripostiglio di certo non avrebbe mai pensato l'esito fattuale realizzato dal condomino.

Di conseguenza si è aperto un procedimento contenzioso, radicato dal condominio in ragione della “disarmonia architettonica” del palazzo a causa di detta trasformazione, la cui richiesta è stata la condanna alla rimozione dell'opera e al risarcimento del danno per la “temporanea privazione “ del decoro dell'edificio.

La «disarmonia architettonica»
Il tribunale di Taranto,chiamato a giuducare sull’inevitabile lite, con sentenza del 18 ottobre 2019 afferma che «È indubitabile che si sia realizzata con la veranda nel superattico una oggettiva disarmonia architettonica, ma è pur vero che l'interpretazione corrente è nel senso che non sia solo questo il parametro dirimente: non è a dire che sol che ricorra una disarmonia debba ravvisarsi il pregiudizio all'aspetto architettonico dell'edificio».

Ed allora, come richiama il Tribunale di Taranto, in tema di sopraelevazione dell'ultimo piano o del lastrico solare degli edifici costituiti in condominio, il pregiudizio all'aspetto architettonico, che ai sensi del comma 3 dell'art. 1127 c.c. consente l'opposizione dei condomini, consiste in un incidenza di particolare rilievo della nuova opera sullo stile architettonico dell'edificio che - essendo immediatamente apprezzabili “icto oculi” ad un'osservazione operata in condizioni obiettive e soggettive di normalità da parte di persone di media preparazione - si traduce in una diminuzione del pregio estetico e quindi economico del fabbricato>>. (Cass.Civ., Sez.II, 12.9.2003 n.13426).

Nella fattispecie in esame, la CTU ha osservato che la violazione dell'armonia del palazzo «non appare visibile ad un normale osservatore, ma solo quando lo faccia uno posto a debita distanza, metri 85, da altra via».

Peraltro l'autorità giudiziaria ha concluso che «Per effetto dell'art. 9 del regolamento condominiale, regolarmente trascritto, è vietata ogni sopraelevazione in deroga all'art. 1127 c.c., per tale dovendosi intendere anche il caso ricorrente della veranda a copertura del superattico: non occorre cioè, per lasua configurazione - spiega il Tribunale di Taranto - la realizzazione di un nuovo piano ma anche una fabbrica che implichi un aumento di volumetria accompagnata da un innalzamento del limite superiore dell'edificio: dalla terrazza alla copertura della veranda».

E questo perché «con la predetta opera la convenuta aumentando la volumetria del proprio vano e trasformando ad un tempo la destinazione della porzione della terrazza di sua proprietà esclusiva, creava una nuova fabbrica in sopraelevazione», e il solo limite da prendere in considerazione «è quindi quello del pregiudizio all'aspetto architettonico dell'edificio, di cui al comma terzo dell'art. 1127 c.c. e non quindi quello implicato dalla vecchia formulazione dell'art. 1122 c.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, e cioè la sola ricorrenza del danno alle cose comuni, come opinava invece la difesa convenuta».

La regola sancita dal regolamento qualifica il diritto lamentato dal condominio come avente «natura reale e quindi si tratta di diritto autodeterminato». anche se «solo in comparsa conclusionale l'attore evocava l'art. 9 del regolamento condominiale, quello che fonda la domanda è un diritto reale e non eterodeterminato: si identifica quindi l'azione proposta solo avendo riguardo al contenuto del diritto, prescindendo dal titolo; con la conseguenza che il suo rilievo integra una mera difesa e non una eccezione in senso stretto».

Si tratta quindi di diritti assoluti che «si identificano in sé e non in base alla loro fonte (amplius quam semel res mea esse non potest), come accade invece per i diritti obbligatori; pertanto l'attore può mutare il titolo - atto o fatto, derivativo o costitutivo - in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni (art. 183, 189 e 345 c.p.c.) e oneri (art 292 c.p.c.) della modifica della causa petendi; né sussiste violazione del principio della domanda (art. 112 c.p.c.) se il giudice accoglie il petitum in base ad un titolo diverso da quello invocato» ( Cass.Civ., Sezione II, 20-5-997 n. 4460).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©