Fisco

Niente agevolazioni per gli immobili vincolati se producono un reddito d’impresa

di Valeria Sibilio

Il nostro Paese vanta un vastissimo patrimonio artistico, tra cui tantissimi beni immobili di interesse storico la cui protezione e conservazione è tutelata da specifiche leggi. Tuttavia, se questi beni sono strumentali alla produzione di reddito d'impresa e quindi deducibili come costi non rientrano nel trattamento fiscale agevolativo per gli immobili di interesse storico ed artistico previsto dall'art.11 della Legge 131/1991. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 5328 del 2019, originata dalla richiesta, da parte di una società, del rimborso, relativo a quanto versato nell'anno 2004, di euro 1.581.392,44, a titolo di Irpeg, e di euro 177.032,92 a titolo di Irap, sostenendo che dovesse beneficiare del trattamento fiscale agevolativo previsto dall'art. 11, co. 2, della L. n. 413 del 1991, disciplina secondo la quale per i suddetti immobili il reddito è determinato mediante l'applicazione della minore delle tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è ubicato il fabbricato.
L'Agenzia delle Entrate, che riteneva esulante dal regime agevolativo il reddito d'impresa percepito dalla società istante mediante la locazione dei suddetti immobili, opponeva il silenzio-rifiuto, contro il quale la contribuente adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Milano. Questa accoglieva il ricorso della società con sentenza n. 291/17/11, sull'assunto che l'art. 11 della 1. n. 413 cit. prevedeva una regolamentazione del trattamento fiscale degli immobili di interesse storico o artistico, a prescindere dunque dal soggetto locatore. L'appello avverso la pronuncia del giudice di primo grado veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza contro la quale l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione censurando con due motivi la decisione. Con il primo, la ricorrente lamentava l'erronea applicazione della disciplina agevolativa contenuta nella I. n. 413 cit. anche alla contribuente, la cui attività d'impresa si concretizzava nella locazione di immobili di interesse storico o artistico, ed i cui canoni costituivano i ricavi prodotti nell'esercizio dell'impresa, concorrendo alla formazione del reddito. Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava il non aver esaminato la natura degli immobili, verificando se fossero strumentali o patrimoniali, concorrendo, solo in questa seconda ipotesi, alla formazione del reddito complessivo secondo i criteri catastali dei redditi fondiari.
La Suprema Corte ha valutato il primo motivo fondato, verificando se i redditi percepiti dalla locazione di immobili di interesse storico e artistico, nella titolarità e gestione di impresa commerciale, dovevano essere trattati fiscalmente secondo il regime agevolato, oppure escludendoli da tale regime in quanto la loro locazione costituiva l'attività commerciale dell'impresa, avendo natura di beni strumentali o costituendo i beni alla cui produzione o scambio era diretta l'attività d'impresa. In questa seconda ipotesi, i ricavi derivanti concorrevano al reddito d'impresa, non trovando, quindi, giustificazione l'applicazione di un regime fiscale agevolato.
I canoni prodotti dalla locazione di immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'art. 3 della 1. n. 1089 del 1939, che siano oggetto dell'attività dell'impresa, rappresentano ricavi che concorrono alla determinazione del reddito di impresa, secondo le norme che lo disciplinano, senza che sia applicabile l'art. 11 co. 2, della 1. n. 413 del 1991, il quale, nello stabilire che il reddito degli immobili in questione è determinato “mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato”, si riferisce al solo reddito fondiario e si giustifica nei costi di manutenzione degli immobili vincolati, superiori a quelli normalmente richiesti per altre tipologie di immobili, giustificazione, quest'ultima, che non avrebbe senso rispetto ai redditi di impresa, determinati sulla base dei ricavi conseguiti in contrapposizione ai correlativi costi che sono invece indeducibili quando relativi ai redditi fondiari.
L'inapplicabilità del beneficio agli immobili, quando strumentali all'esercizio di attività d'impresa, trova ragione nella considerazione che la natura di tale agevolazione integra un risparmio d'imposta, e dunque un reddito per il proprietario fondiario, perché gli esborsi rilevanti che lo stesso subisce per la manutenzione e la restrizione della libera disponibilità dei medesimi, non avviene quando essi siano nella proprietà di una impresa, che utilizzandoli per l'esercizio della propria attività commerciale, ha già la possibilità di dedurne i costi.
La Cassazione, accogliendo il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo - in quanto gli immobili erano locati a terzi costituendo senz'altro beni strumentali all'esercizio dell'attività d'impresa della società - ha compensato le spese processuali dei gradi di merito, condannando la Società alla rifusione, in favore dell'Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 13.000,00 oltre spese prenotate a debito.

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