Fisco

Aree cedute da parenti: rivendite nel mirino

di Giorgio Gavelli

Simulazione, interposizione reale e fittizia, evasione, elusione, abuso, risparmio d’imposta. Raramente un’unica fattispecie giuridica ha richiamato tanti concetti a volte differenti tra loro, con l’effetto di rendere non univoco l’esito del contenzioso anche presso la stessa Cassazione. Si tratta della donazione a familiari di immobili – generalmente aree edificabili – che vengono poi ceduti a terzi, ottenendo così una totale (o, comunque elevatissima) detassazione della plusvalenza latente ai fini Irpef, grazie al combinato effetto della non imposizione del primo atto (gratuito) e della favorevole modalità di determinazione dell’imponibile nel secondo atto (a titolo oneroso). Vediamo le norme interessate.

In base all’articolo 67, comma 1, lettera b) del Tuir (Dpr 917/1986) sono imponibili come redditi diversi «in ogni caso» le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.

Diversamente, i terreni agricoli determinano plusvalenza imponibile se ceduti entro i cinque anni dall’acquisto, con esclusione di quelli ricevuti in successione.

Se la provenienza del terreno è a titolo di donazione, l’Irpef sulla plusvalenza scatta se la cessione entro i cinque anni avviene dall’acquisto operato dal donante (questa disposizione, secondo parte della dottrina, non è applicabile alle aree edificabili, come si ricava anche dalla circolare 28/E/2006).

In base al successivo articolo 68, comma 2, per i terreni acquistati per effetto di successione o donazione il costo è quello dichiarato a tali fini, o in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente. Per cui la vendita di un’area edificabile a un corrispettivo pari al valore attribuito in sede di precedente donazione azzera la plusvalenza. In caso di terreno agricolo, la combinazione si presenta conveniente solo laddove tra l’acquisto del donante e la successiva cessione da parte del donatario siano trascorsi meno di cinque anni.

L’Agenzia ha sempre cercato di opporsi a questo schema, talvolta ipotizzando l’interposizione fittizia, altre volte ravvisando un percorso elusivo.

L’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973 stabilisce che sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona. L’abuso del diritto (a cui è stata ricondotta l’elusione) è oggi disciplinato dall’articolo 10-bis della legge 212/2000 , che, in sintesi, prevede l’inopponibilità al Fisco di una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme, realizzano vantaggi fiscali indebiti.

Mentre l’interposizione, così come la simulazione, rappresenta un fenomeno evasivo, l’abuso non costituisce una violazione del diritto positivo, ma un suo utilizzo distorto, volto ad ottenere vantaggi disapprovati dal sistema, come può accadere con l’interposizione reale.

In merito all’interposizione, la Cassazione sembra, in diverse pronunce, soppesare gli elementi presuntivi indicati dall’ufficio nell’atto di accertamento e, in quanto tali, sottoposti dal giudice al proprio vaglio critico. Oltre al tempo (generalmente breve) trascorso tra donazione e cessione, acquisiscono rilevanza fattori quali:

il versamento di acconti al donante;

la partecipazione di questi alle trattative per la cessione;

la destinazione finale delle somme (che, nel caso della permuta, si concretizzano in un ulteriore immobile).

Esaminando le sentenze di legittimità emergono discrasie sull’onere probatorio addossato, a seconda dei casi, alla parte (contribuente o Agenzia)che viene poi indicata come soccombente. In proposito si ritiene che se il contenzioso si basa sull’interposizione fittizia, spetta all’Agenzia, secondo i principi generali, allegare quanto sta alla base dell’avviso di accertamento, con possibilità, come di consueto, di ricorrere a presunzioni purché gravi, precise e concordanti. In tema di abuso del diritto (ad esempio, la sentenza Cassazione 29190/2017), invece, come richiesto dal legislatore:

l’amministrazione ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, ossia, come anche di recente sostenuto dalla stessa Agenzia (risoluzioni 97/E e 98/E del 2017), il congiunto verificarsi di tre presupposti:

la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;

l’assenza di «sostanza economica» dell’operazione;

l’essenzialità del conseguimento di un vantaggio fiscale.

il contribuente, dal canto suo, ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali, non marginali, che giustificano l’operazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©